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sabato 26 gennaio 2008
FINE DI UN SOGNO
a cura di RNxPD
(17:20)
Due tentazioni ci inseguono nella amarezza di questi momenti: piantare tutto perché non c’è salvezza per questo paese, sfogarci fra amici. Sono entrambe inutili. Nella seconda però c’è almeno un germe. Sforzarci di capire insieme per ricominciare da capo.

Non facciamoci illusioni. Il 24 gennaio non è solo caduto un governo e non si è forse chiusa una legislatura. Rischia di essere seppellito un sogno, quella della riforma della politica in Italia, quello di una rinascita, etica prima che politica, collettiva, quello di un rinnovamento vero della democrazia, il sogno che ha dato e deve poter dare ancora senso al Partito democratico. E questo entro un conflitto che traversa il nostro paese da trent’ anni, un conflitto che ha segnato la vita politica italiana, da una parte con le stragi e il terrorismo ma dall’ altra con la paura e il condizionamento dei tentativi di innovazione che pure ci sono stati.

Quella che ha vinto, e potrebbe stravincere se non siamo attenti, è stata la repubblica dei partiti e non dei cittadini, nella sua forma peggiore; non dei grandi partiti interpreti delle attese popolari; hanno vinto i partiti costruiti su interessi di singoli, sulla difesa di rendite di posizione politiche o personali, utilizzando spietatamente tutte le difese della frammentazione che hanno caratterizzato il quadro politico, le pratiche della cooptazione e dell’oligarchia anche quelle che di cui sono responsabili partiti veri, dotati di una loro dignità politica. Ha vinto la logica della frammentazione e della difesa politica di sé, non un’altra politica.

Il partito democratico è stato doppiamente sconfitto; non solo perché caduto il governo del suo Presidente, il governo costruito sulla vittoria della sua strategia. Ed e’ stato sconfitto anche perché non è riuscito a trovare ancora la strategia coerente per opporsi alla logica della frammentazione essendone ancora troppo segnato al suo interno.

I precedenti che hanno portato a questa sconfitta vanno oggi declinati con reciproca franchezza non per alimentare inutili polemiche ex-post ma per capire dove dobbiamo andare. Sono le prolungate resistenze a dare vita al soggetto Ulivo nella sua pienezza originaria; a presentarsi sotto un tale simbolo anche al Senato in ragione della propria quota di rappresentatività formale da difendere ( possiamo dimenticare che sta qui la responsabilità politica della debolezza al Senato?); la spaccatura esiziale del PDS di fronte alla ipotesi unitaria, in difesa non di una politica altra ma di un’appartenenza, una spaccatura subita e troppo presto archiviata come un incidente inevitabile e forse addirittura opportuno; un processo di unificazione troppo segnato dalle garanzie di sicurezza per la vecchia dirigenza, che ha ridotto nel segno dei vecchi equilibri la novità d’immagine dei principi accolti, “una testa un voto” e il 50% di genere.

Un segno da non trascurare di questa forza della logica che divide è stata il continuo riprodursi dell’immagine di uno scontro interno, o per lo meno del perdurare di una reciproca incomprensione fra laici e cattolici, che non corrisponde alla realtà delle coscienze della grande maggioranza degli aderenti,. Per essa la laicità è ormai un approdo comune, in cui le stesse divergenze sulla gestione politica dei rapporti fra Chiesa Stato sono segnate semmai da una trasversalità fra laici e cattolici. Da una parte e dall’altra.

Tutto questo ha portato, anche inconsapevolmente, all’identificazione del bipolarismo, di fatto troppo debole di fronte al prevalere della logica della frammentazione e dell’autodifesa, come un bipolarismo da superare perché “coatto”, anziché come un bipolarismo da ridisegnare nei suoi confini e nel suo stile politico. Si è rischiato così di accreditare una deriva proporzionalistica del PD, più che una concessione parlamentare agli interlocutori. Paradossalmente in questo quadro la stessa ribadita vocazione maggioritaria, ha finito con l’essere assunta come segno, foss’anche involontariamente, insieme di arroganza politica e del suo contrario, di stile proporzionalistico, attraverso il concetto tutto proporzionalista del “presentarsi da soli”.

E’ questo insieme di debolezze del centrosinistra che ha reso ulteriormente difficile anche costruire consenso nel paese sui risultati del governo e consenso fra le forze politiche sulle riforme, in primo luogo nella maggioranza stessa, ma con effetti disastrosi anche nei rapporti con l’opposizione. Siamo sempre stati tutti per cultura politica a favore e in attesa di un bipolarismo mite e civilmente fecondo; ma questo non può portarci a illuderci della praticabilità facile d’intese con una controparte che ne può né vuole muoversi su questo terreno, ha sempre praticato logiche diverse e che quindi poteva essere costretta a farlo solo attraverso posizioni forti che esprimessero l’unità della maggioranza.

Condividiamo tutti il giudizio che da questa crisi non si esce, il paese non esce, con elezioni anticipate sulla base della legge elettorale vigente. Condivido l’ipotesi di un governo super partes che garantisca questo passaggio difficile della nostra economia in forme alte, affronti almeno le più urgenti riforme di struttura, e, a questo punto, approvi una legge elettorale come che sia dignitosa.

Quando si è sconfitti bisogna saper definire qual’è la linea di resistenza giusta. A questo punto della crisi italiana la cosa più importante è che i cittadini abbiano uno spazio reale di scelta dei loro rappresentanti, che cada la delega in bianco ai partiti nelle forme più adeguate ( che non sono il voto di preferenza). Lo stesso principio maggioritario, che deve restare in modo esplicito il nostro riferimento ideale e il nostro obiettivo programmatico, oltre che impraticabile parlamentarmente, in questa situazione può rischiare solo di garantire la formazione di maggioranze coatte intorno al potente di turno. Ciò che conta è riaprire tutte le possibilità di convergenze programmatiche reali sulla strategia delle riforme.

Se questa diagnosi è giusta ne discendono le terapie. A un malato o un convalescente spesso il medico suggerisce, a seconda delle malattie, aria di mare o di montagna. Io credo che il paese e il PD abbiano bisogno oggi piuttosto che di aria marina, di aria di monti.

Paola Gaiotti de Biase
Eletta all'Assemblea Nazionale del PD


COMMENTI:

Condivido la massima parte dell’intervento. Aggiungerei solo alcune precisazioni.
  • E’ mancata soprattutto, all’interno del PD, la volontà di procedere ad un serio ricambio della dirigenza. Sia sul piano nazionale che su quello locale.
  • La tendenza a un compromesso con l’area cattolica integralista, per recuperare consensi in quest’area, ha dato luogo alla sfiducia degli elettori, accertati e potenziali, non appartenenti alle vecchie nomenklature.
  • La rinuncia, non solo apparente, ai fondamentali principi di laicità, cioè senso dello stato come dovere civico e non intesa, banalmente e falsamente, come ateismo e anticlericalismo, ha prodotto
Una ulteriore ferita in quella parte dell’elettorato di riferimento che basa sui diritti civili la missione del PD.
Non sarà facile uscire da questa situazione: la crisi politica è la crisi del paese e dell’unica novità che era apparsa sulla scena politica, il PD. E concordo quindi con l’auspicio di un governo ‘super partes’, affidato a tecnici di altissimo livello, svincolati da ogni e qualsiasi sudditanza dai partiti. E che duri a lungo.
Abbiamo tutti bisogno di una severa terapia che ci liberi da questa droga, la politica di corto respiro, quella che guarda al proprio meschino interesse anziché a quelli della collettività, della politica della contrapposizione frontale ed ottusa. Dobbiamo affrancarcene al più presto, per il bene e per il futuro del paese.


Piero Filotico