Voci indipendenti di liberi cittadini nella costruzione e nella vita del partito nuovo
venerdì 16 maggio 2008
Dal Circolo PD di Monte Mario
a cura di RNxPD
(18:59)
Nei circoli PD si stanno esaminando i risultati elettorali. Ieri, 15 maggio, si è tenuta un'assemblea nel Circolo PD Monte Mario. Pubblichiamo la relazione introduttiva, svolta dal coordinatore del circolo, Vladimir Mariano.

L’assemblea odierna assume un’importanza particolare.
Mai come questa volta la sconfitta elettorale, bruciante, di proporzioni molto vaste necessita di un ragionamento serio, approfondito che sappia andare anche con molta onestà al cuore delle questioni. Si avverte scoramento, disillusione, rabbia e credo anche una forte voglia di confrontarsi, di discutere tra di noi anche solo per far uscire fuori quello che proviamo in questo momento.
Avverto su di me una grande responsabilità, cercherò di dare un contributo utile per l’assemblea, sapendo però perfettamente che la discussione odierna rappresenta solo un primo passaggio, l’inizio di un percorso che non si esaurirà in brevissimo tempo in cui compito principale nostro sarà quello di offrire un luogo di dibattito aperto, plurale, libero, in cui ognuno possa e debba dire la propria.
Anzi, sono convinto che vada aperta al più presto una grande fase di ascolto collettivo tra gli iscritti, i simpatizzanti, i militanti del Pd; la discussione non va semplicemente calata nei circoli ma deve partire in primo luogo da queste strutture territoriali con lo scopo di avviare una fase di confronto a tutti i livelli di organizzazione del partito.
Un partito nato da poco e che deve avere la forza e la lungimiranza di affrontare con chiarezza e coerenza un momento molto difficile e impegnativo. In questa fase si misurerà la capacità di tenuta e di rilancio di questo progetto politico. Una discussione difficile ma assolutamente necessaria perché il Paese che il voto ci ha consegnato ci dice con chiarezza che non siamo di fronte solo ad una forte avanzata della destra. E’ emerso dal voto popolare un fenomeno molto più profondo, una voglia e un sentimento di voltare pagina in modo radicale a tutti i livelli di governo, sconfitta che si è come sublimata nella grave perdita di Roma, su cui tornerò.
I numeri parlano chiaro. La geografia politica del Paese è radicalmente mutata nelle coalizioni e all’interno di queste. Prendendo come riferimento il voto alla Camera, il PDL ha raggiunto il 37,3% dei consensi. In termini relativi di voti espressi rispetto al 2006, quando Forza Italia e AN si presentarono da soli, si registra una flessione di circa 1 milione di voti, gap ampiamente compensato dal notevole incremento di voti, un vero exploit della Lega Nord che rispetto al 2006 arriva quasi a raddoppiare il suo bacino elettorale (passa dal 4,5 al 8,3% nazionale, con punte vicine anche al 30% nelle aree del nordEst del Paese). In totale la coalizione di centrodestra si attesta al 46,8%.
Il Pd alla Camera si attesta al 33,1%, nel 2006 L’Ulivo arrivò al 31,2%, i voti sono 12 milioni 100 mila a fronte di 11 milioni 930mila di 2 anni fa. L’Italia dei Valori aumenta in modo consistente raddoppiando i voti da 877mila a 1 milione 600mila (dal 2,30 del 2006 al 4,3% odierno). In totale la coalizione di centrosinistra (Pd + IDV) si attesta al 37,5% dei consensi.
L’Udc, che ha corso da sola, perde rispetto al 2006 mezzo milione di voti, passa dal 6,7% di 2 anni fa, quando era in coalizione con Berlusconi, al 5,6%. La Sinistra Arcobaleno rispetto al 2006 subisce un crollo devastante, sparendo dal Parlamento: prende il 3%, a fronte del 10,1% complessivo raggiunto nel 2006 da RC, Comunisti Italiani e Verdi che partecipavano separati alla coalizione guidata da Prodi. 1 milione 100mila voti rispetto ai quasi 3 milioni 900mila del 2006.
La capacità attrattiva del Pdl (FI + AN) in termini di voti realmente espressi è minore rispetto al Pd, ma la forbice tra le 2 coalizioni (9 punti percentuali di distacco) ci da la misura chiara della sconfitta.
Berlusconi ha costruito le condizioni per vincere comunque, con la Lega che è diventata vero è proprio azionista di maggioranza del governo, noi abbiamo iniziato in pochissimo tempo a costruire le condizioni per riorganizzare il campo del centrosinistra intorno ad un grande partito a vocazione maggioritaria, scegliendo la strada più impegnativa, con l’obiettivo finale del superamento delle alleanze costruite solo contro l’avversario.
L’archiviazione della fase delle coalizioni-ammucchiata non nasce per caso, perché è stato il frutto di una scelta strategica, di fondo, anche rischiosa ma profondamente giusta. Scelta che va inquadrata soprattutto alla luce dell’affannosa e deludente esperienza di governo nazionale in continua, perenne agitazione, prigioniera di una risicata ed eterogenea maggioranza che ci aveva consegnato il voto di appena 2 anni fa.
Una coalizione sterminata, rissosa, piena di personalismi e frantumata nelle sue ali più estreme, strattonata dalla sinistra cosiddetta radicale da una parte e da pezzetti di potere autoreferenziali come Mastella e Dini dall’altra. Incapace di dare le risposte che il Paese attendeva. La logica del tutti assieme contro qualcuno non poteva reggere e difatti siamo arrivati alla fragorosa caduta del governo e alle elezioni anticipate.
Occorreva un cambio di marcia completo e il PD si è assunto su di se la responsabilità di accelerare il percorso di costruzione del Partito. Remando controcorrente in un clima generale quasi surreale, dopo le primarie che hanno eletto Veltroni alla segreteria nazionale. Sono stati mesi difficili perché la campagna elettorale era alle porte e noi non avevamo ancora completato la costituzione dei circoli territoriali.
La crisi di governo ha anche influito sulla tempistica del percorso costituente del Pd e questo ha sicuramente avuto il suo peso anche nel lasso di tempo, troppo lungo tra le primarie del 14 ottobre e la nascita dei circoli a metà febbraio. Un tempo che però è stato anche necessario e fisiologico per creare le condizioni migliori per la struttura embrionale del nuovo soggetto politico che, lo ricordo, è ancora da definire compiutamente nelle sue forme e nei suoi assetti organizzativi.
Il Pd è un partito che non è nato per finalità contingenti e di corto periodo, ma per rappresentare proprio oggi la funzione di strumento utile al Paese. E’ un patrimonio che dobbiamo difendere e che dobbiamo imparare ad utilizzare integralmente, ci vuole anche un grande sforzo culturale.
Abbiamo perso le elezioni ma non è tutto da buttare via. Usciamo dalla logica anche emergenziale di questo periodo di tempo e avviamo una profonda fase di riflessione e di analisi di ciò che è successo. Walter Veltroni ha avuto coraggio in questi mesi e durante la campagna elettorale, esercitando la sua leadership con sobrietà e autorevolezza e tutti insieme abbiamo condotto una battaglia dura sapendo le difficoltà che ci si paravano davanti. Ha costretto l’Italia ad entrare finalmente nel 2000, dando un contributo fondamentale alla semplificazione del sistema politico che fa bene al paese non ad una parte sola di esso.
Come accade nelle altre grandi democrazie europee. Non credo che sia poco, soprattutto se si considera che per arrivarci ci sono voluti quasi 20 anni. Oggi il Pd può svolgere in Italia la stessa funzione politica che in altri paesi è svolta da grandi partiti riformisti.
Il vero tema in questa fase non è tanto allargare l’alleanza quanto ampliare l’area del nostro radicamento e per fare questo ci vuole tempo. Nel primo caso dell’allargamento dell’alleanza, si sommano i consensi che ciascun soggetto politico apporta, custodendo la propria identità e ciascuno può rimanere identico a se stesso. Ma, come purtroppo abbiamo sperimentato, la contraddizione tra unità di alleanza e diversità dei suoi componenti prima o poi esplode.
Nel secondo caso, si tratta di ridisegnare la propria identità di soggetto politico. Liberandosi di vecchi schemi ideologici per guardare con lenti nuove la realtà che ci circonda, senza pregiudizi. In altre parole, occorre cambiare dal profondo uscendo da logiche di vecchie appartenenze politico, sociali e culturali, che dovremo avere la capacità di affrontare. Non per fare una mescolanza indistinta e pasticciata di culture e tradizioni e senza rinnegare ciascuno il proprio percorso politico che in molti casi è il percorso di una vita intera. Ma per arrivare ad un punto di sintesi alta con lo sguardo rivolto al futuro della nostra gente e delle nuove generazioni che verranno.
Ridefinire dunque la propria funzione nella società odierna con una battaglia culturale e di valori avendo la capacità e l’ambizione di rappresentare fino in fondo il nucleo riformista all’interno del panorama dell’intero centrosinistra italiano. Le scorse elezioni in questo senso ci hanno dato un segnale chiaro. Un partito di centrosinistra ha un interesse vitale a che lo stato funzioni bene. Ma l’intera coalizione è stata identificata con un con uno stato che non siamo stati in grado di governare e riformare efficacemente, siamo apparsi agli occhi di molti elettori incapaci di formulare soluzioni utili e rapide.
Abbiamo fatto tanto per contribuire al risanamento dei conti pubblici, attuando anche una serrata lotta all’evasione fiscale, giusta nel merito ma non percepita e capita nel metodo.
E anche sul tema centrale di questa campagna elettorale, la sicurezza, che messaggio è arrivato al cittadino? La destra ha strumentalizzato questo tema che non si risolve se non con una politica seria e rigorosa nei confronti di chi delinque ma soprattutto con un accordo vero con gli stati esteri che sono più vicini a noi. La legge attuale di riferimento in materia poi è la Bossi/Fini e non ha funzionato per nulla visto che in pratica è impossibile espellere lo straniero che commette reati se è di provenienza incerta.
Il governo Prodi non ha saputo rispondere in modo adeguato su questo tema. Le differenze sul tema sono esplose in modo micidiale, anche per il totale stravolgimento del decreto legge sulla sicurezza, che è stato progressivamente snaturato nei vari passaggi parlamentari dalla politica del no dell’ala radicale piu’ estrema della coalizione.
La mancanza di credibilità e incisività del governo nazionale ha pesato anche sul voto di Roma. La sconfitta grave al governo della città ha chiuso il piu’ lungo ciclo riformatore che la città abbia mai conosciuto. Un ciclo e un’epoca che va analizzato in profondità e che dovrà essere tema centrale di una analisi che vada anche a storicizzare gli ultimi 15 anni di governo capitolino. Analisi di cui tutto il Pd romano dovrà farsi carico e che richiederà del tempo. Prendiamocelo tutto il tempo, evitiamo discussioni frettolose ed emergenziali che si fermino solo all’attribuzione di singole responsabilità per capire bene cosa ha rappresentato questa esperienza di governo senza precedenti.
La tenuta, la forza e il rilancio del Pd di Roma si misurerà proprio dalla capacità di analisi che sapremo mettere in campo nei prossimi mesi. Questa adesso è la vera sfida che dovremo essere capaci di guidare. Nel 2001 dopo la sconfitta del governo nazionale mi ricordo che a Roma ci furono tutta una serie di iniziative e approfondimenti per capire in profondità che cos’era nella nostra città il fenomeno politico e sociale della destra.
Adesso è venuto il momento di affrontare nel modo migliore è più virtuoso possibile una discussione aperta, senza rete per costruire dal basso le condizioni per una nuova idea nostra del futuro di questa città. Partendo proprio dalla vittoria entusiasmante di Veltroni di appena 2 anni fa, con il centro sinistra romano che arriva al massimo consenso e alla massima torsione riformista. L’Ulivo prende molti consensi e da qui si comincia a pensare al progetto politico del partito democratico. Il terreno è molto fertile, il modello Roma è arrivato al massimo della sua crescita di consensi.
Dopo la vittoria si intravedono i primi problemi.
Veltroni inizia ad impegnarsi nella sfida nazionale per dare il contributo decisivo alla nascita del PD. La scelta è a mio avviso giusta. Però si comincia ad avvertire anche una mancanza di presa sui grandi problemi e nodi irrisolti di una città così complessa da governare.
Manca una visione strategica del futuro di Roma, una visione innovativa in grado di guidare i grandi processi di modernizzazione messi in campo negli anni precedenti. La gestione del quotidiano diventa micidiale e comunque la sensazione generale è che si sia chiusa una fase, ma non si intravede quella nuova. Manca in sostanza un ripensamento profondo e complessivo che metta in luce anche i limiti di un progetto di governo per rilanciare un progetto politico capace di convincere i cittadini romani anche per il futuro.
In questo quadro si inserisce la crisi del governo nazionale con la destra che si mobilita, scende in campo e si incunea nelle nostre contraddizioni. Protesta contro i PUP, contro il corridoio della mobilità sulla Palmiro Togliatti, contro l’Ama che non funziona. La protesta, in assenza di una nostra analisi e strategia per il futuro della città, si salda, attecchisce soprattutto nelle aree più periferiche di Roma, oltre il GRA, diventate un’altra città nella città. L’espansione di questi nuovi insediamenti porta ad uno squilibrio evidente in tutti i servizi urbani. La gestione del quotidiano è il catalizzatore di tutte le pulsioni. La mobilità sulle vie consolari è paralizzata, la raccolta dei rifiuti in un’area così vasta diventa insostenibile, la vigilanza urbana sempre più difficile, il controllo del territorio sfugge di mano, irrompe un’immigrazione diversa da quella conosciuta finora, si aprono delle tensioni inedite.
La vera novità di questa fase politica nella città e più in generale nel paese è che però la natura di queste proteste, in misura maggiore rispetto al passato, non comprende solo la destra militante, ma anche semplici cittadini, su cui la destra riesce a sintonizzarsi. E’ come se la città e i suoi abitanti, si fossero laicizzati e piuttosto che guardare alle appartenenze del passato vogliono risposte concrete ai problemi della città, o viceversa rifiutano le trasformazioni sentite come estranee alle loro abitudini. Si sente un’aria diversa, ci sono troppi fronti aperti e Il Pd sta in mezzo al guado, il nostro processo costituente si svolge entro questa cornice con tanta pazienza, passione ma anche affanno, ansia, preoccupazione per il clima politico e sociale in rapido mutamento.
Questo atteggiamento dell’elettorato romano si sfogherà a pieno nel differenziale di voto tra Zingaretti, i Presidenti di Municipio e Rutelli. La candidatura di Rutelli appare stanca, qualcosa di già visto soprattutto anche nel modo del suo concepimento, l’ansia di rinnovamento radicale che serpeggia a Roma è intercettata da Alemanno con il suo slogan Roma cambia.
E tuttavia in questo quadro appena descritto appare chiaro che è impossibile attribuire tutta la responsabilità della sconfitta sulle sue spalle. Sarebbe un’analisi parziale, miope, ingenerosa nei suoi confronti che forse metterebbe qualcuno con la coscienza a posto ma che non va al cuore del problema. L’eredità era difficile, 15 anni di governo sono tanti per chiunque, è stata piuttosto una grande sconfitta collettiva.
Rutelli è stato un grande sindaco ma non riesce a far emergere la proposta per il futuro della città.
Zingaretti invece, viene invece percepito come la vera novità dalla forte capacità attrattiva, con una capacità di parlare un nuovo linguaggio anche in alcuni territori della nostra provincia storicamente in mano alla destra.
Alemanno ha colto una grande vittoria politica, ha avuto fiuto nel cavalcare anche con certa dose di disinvoltura un sentimento diffuso di rinnovamento basato su pochi, efficaci slogan elettorali, ma non ha conquistato Roma. La città che esce dal voto è profondamente divisa ed è in atto il suo tentativo di aprire un lungo ciclo dai contorni ancora molto incerti. Non dobbiamo perdere tempo e è necessario avviare una grande fase di confronto all’interno del partito romano perché l’esatta comprensione di quello che è successo sarà il metro con cui misureremo la nostra capacità di reazione. Un partito vero viene riconosciuto credibile se proprio da una sconfitta così bruciante si misura anche con le sue contraddizioni e i suoi nodi irrisolti. Un partito vero, adesso ci vengo.
Non partiamo da zero. Il voto politico della camera a Roma ci attesta al 41%, abbiamo vinto 11 municipi e la Provincia di Roma. L’opposizione alla destra deve prendere corpo progressivamente nelle istituzioni e soprattutto nel cuore della città, attraverso lo strumento del Pd che non ha ancora dispiegato la sua potenzialità. Il voto indica anche a noi la voglia di cambiare, di innovare nelle forme, nella selezione di nuove classi dirigenti. L’elettore ha giudicato le persone, i progetti e vuole novità. Chi è stato in grado di essere credibile su questo terreno ha vinto. Anche nei consigli municipali, ad una prima vista, mediamente le novità e i giovani vanno meglio degli altri in termini di preferenze.
Guai a pensare di cambiare solamente qualche organismo dirigente, bisogna mettere in campo un disegno complessivo fatto di idee e di persone, militanti veri in grado di guidare l’opposizione alla destra, anticipandola sulle scelte strategiche per la città.
Dobbiamo per davvero costruire il partito democratico, uscendo dall’emergenza di questi mesi, con una chiara e seria organizzazione di base, con un radicamento nel territorio che vada oltre la misura della forza in base alle preferenze raccolte dai candidati. La somma delle quali molto spesso non costituisce il valore aggiunto di un progetto politico solido ma solo l’attestazione e la visibilità personale di qualcuno. Non si può rimanere nell’ibrido di una discussione infinita tra partito vero o qualcos’altro: dobbiamo pretendere una scelta chiara sulla funzione, sul ruolo che devono avere i circoli.
Partiamo per una volta da una discussione vera sui contenuti e gli obiettivi e individuiamo e promuoviamo con saggezza i gruppi dirigenti che sono funzionali ad interpretare al meglio questa fase. Portiamo la discussione e il confronto all’esterno e non sulle pagine dei giornali, e anche nel nostro territorio costruiamo insieme luoghi di elaborazione politica e programmatica, investiamo nell’organizzazione politica, raccogliendo le migliori energie, i nostri iscritti, i nostri consiglieri municipali eletti e non eletti, i tessuti associativi e culturali.
Tutti siamo chiamati ad una grande sfida che dobbiamo avere la capacità di guidare in prima linea, senza paure, timidezze o steccati, senza esclusioni o inclusioni aprioristiche ma andando al cuore delle tante questioni in campo, acquistando e costruendo anche un senso di appartenenza nuovo e non prigioniero di vecchi schemi.
La riflessione tra di noi e fuori di noi deve servire a questo, oggi è solo il primo di una serie di incontri, quindi cominciamo e rimettiamoci in campo.