Voci indipendenti di liberi cittadini nella costruzione e nella vita del partito nuovo
martedì 6 maggio 2008
E adesso?
a cura di Nando
(14:18)
Ciascuno di noi sta tentando di metabolizzare il risultato disastroso, su tutti i fronti, di queste ultime elezioni. Per quel che mi riguarda, la botta è stata fortissima e ci vorrà un bel po’ per riprendermi. Più che l’aver perso - era messo realisticamente nel conto, mi preoccupa la dimensione della sconfitta. Non che questo abbia una grande rilevanza sulla composizione del Parlamento (a causa del meccanismo elettorale sarebbe stata comunque la stessa, almeno alla Camera), ma ce l’ha per le possibilità di recupero, che diventano molto, ma molto, problematiche.
Non si può certo dire che i due nuovi partiti (se così si può già chiamare anche quello della destra – mi sembra che AN cerchi ancora una sua visibilità), ossia PD e PdL, siano usciti benissimo dalle urne. Entrambi hanno perso voti rispetto alla somma delle loro componenti nel 2006. L’unica attenuante, specie per noi, privi di mezzi di comunicazione di massa, è la formazione troppo recente e a ridosso delle elezioni, che non ha consentito un adeguato controllo del territorio.
Anche l’operazione centrista di Casini e della Rosa Bianca è stata deludente, anch’essa con una flessione di voti.
I due fatti che hanno sconvolto e dominato il quadro politico sono la scomparsa della sinistra cosiddetta radicale e il grande successo della Lega a Nord, peraltro in parte connessi.
Infatti, tutto fa credere che il successo della Lega a Nord sia dovuto a un travaso massiccio di voti dalla sinistra. L’esodo a destra degli operai del Nord era un fatto ormai avviato da tempo. Questa è stata la botta definitiva. Lavoratori, precari e disoccupati che non hanno lasciato la sinistra per confluire nel PD, ma che hanno abbandonato posizioni “estremiste” per posizione decisamente estremiste, ma di segno opposto. Come dire che gli estremi si toccano senza passare per il centro. Su questo bisognerà riflettere bene.
Confesso che per questa nomenklatura cosiddetta di sinistra, che è uscita completamente dal Parlamento, non mi sento di sprecare nemmeno una lacrimuccia. Piuttosto vorrei prenderne spunto per una breve riflessione.
Cultura di governo e cultura di opposizione.
Questa sinistra, fatto salvo l’episodio della rottura Cossutta-Bertinotti che provocò la spaccatura di Rifondazione nel ’98 (lo cito solo per anticipare le scontate obiezioni dei Comunisti Italiani), non è mai riuscita a liberarsi del complesso dell’opposizione per acquisire comportamenti più consoni a un’attività di governo del Paese. La compartecipazione in un governo di coalizione, specie quando questo governo ha il fiato corto per insufficienza parlamentare, comporta l’accettazione del democraticissimo principio di maggioranza. Discutere quanto necessario, ma poi decidere a maggioranza e rispettare le decisioni. E soprattutto avere la capacità di convincimento per farle capire e accettare al proprio elettorato. Difficile, non lo metto in dubbio, ma necessario se si vuole stare nella “stanza dei bottoni” e cercare di cambiare, seppur lentamente, lo stato delle cose nella direzione desiderata. Il “voglio tutto e subito” si traduce, si è sempre tradotto, in “non ottengo niente mai”. La miope strategia di seguire sempre e comunque un elettorato che “non capisce” sembra non aver dato i suoi frutti. Forse perché quell’elettorato, meno il 3% che è rimasto fedele, si aspettava altre cose, altre parole d’ordine, altri messaggi, altre speranze e non quelle continuamente rimuginate in modo autoreferenziale all’interno dei soliti gruppetti. Forse si aspettavano comportamenti di governo e non di opposizione. A un “estremismo” di opposizione hanno preferito l’estremismo di governo della Lega, percepito come “rassicurante” in relazione ai problemi reali e percepiti come tali.
I non rappresentati.
Per i “persi” (sia verso la Lega che verso l’astensionismo) si pone il problema di un recupero. E questo è compito che il PD deve darsi. Non può e non deve, a mio giudizio, essere delegato a un nuovo ipotetico partito di sinistra, tutto da inventare (e poi con chi? Da parte di chi? Con quali prospettive elettorali future?). Il PD deve essere in grado di elaborare progetti e programmi che parlino anche alla sinistra. Che “dicano qualcosa di sinistra”, non nel senso finora inteso dai partiti di sinistra, ma con un lessico da XXI secolo. Se vuole essere un partito progressista a vocazione maggioritaria.
Resta il problema di quel 3% orfano di parlamentari e di diritto di tribuna. Alcuni paventano il rischio che ci possano essere scivoloni verso attività extraparlamentari. Confesso di non avere elementi per valutarlo. Indubbiamente sarebbe un fatto deprecabile che potrebbe sempre avverarsi nella misura in cui a qualcuno, estraneo alla sinistra, convenga ostacolare un cammino riformatore o abbia necessità di alimentare un clima nazionale di tensione e riesca a manipolare a suo vantaggio frange estremiste. Come peraltro è già avvenuto nella breve storia della nostra Repubblica. Anche quando la sinistra era ben rappresentata in Parlamento.

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Purtroppo il ben augurante “yes, we can”, romanescamente tradotto in “se po’ fa”, si riduce a un mesto “e mo che famo?”.Gli attori sono essenzialmente 3: i cittadini, il partito e i movimenti. A voler esseri precisi, anche gli eletti che, all’interno delle istituzioni, rappresentano innanzitutto i cittadini, ma possono essere espressione di cittadini, del partito e delle associazioni (soprattutto se si conferma, si rafforza e si estende l’istituto delle primarie/scelta democratica dei candidati). Cosa dovrebbero fare?
Il partito.
Qui il discorso è complesso e richiederebbe uno spazio specifico di discussione. Mi limito a dire quello che sarebbe bene evitare da subito: lacerarsi con reciproche accuse e processi sommari. Ma anche lasciare le cose come stanno per il timore di spaccature. Un’analisi dei motivi della sconfitta e dello scenario politico che si è venuto a determinare gli organi dirigenti del partito la devono affrontare con serenità, ma anche con molta franchezza. Personalmente sono tra quelli che credono che chi perde farebbe bene a riconsegnare il mandato che ha ricevuto. Come metodo. Per sgomberare il terreno da ogni possibile equivoco. Salvo vederselo riconfermare. In tal senso, un anticipo del congresso sarebbe, a mio avviso, auspicabile. Non ci si può aggrappare alle primarie di ottobre per giustificare una permanenza nel ruolo. La sconfitta non è stata ai punti. L’Italia progressista e democratica ha subito un KO.
Gli eletti.
Questa legge elettorale ha avuto come risultato di annullare ogni legame tra gli occupanti del palazzo e i cittadini. I nostri eletti, oltre a svolgere una seria ed efficace opposizione nella aule parlamentari e nelle sale consiliari, dovrebbero preoccuparsi anche di mantenere, ricreare o creare ex novo un rapporto con il territorio nel quale sono stati eletti. Le associazioni locali possono essere un valido tramite per raggiungere questo scopo.
Associazioni.
L’attività territoriale del partito è svolta, come previsto dallo statuto, nei circoli (articolo 14) da parte dei soggetti fondamentali della vita democratica del Partito: elettori e iscritti (articolo 2, comma 1). Gli elettori/elettrici, definiti al comma 3 dell’art. 2, hanno i diritti e doveri elencati nei commi 4 e 6. Gli iscritti/iscritte, definiti al comma 2, hanno i diritti e doveri elencati nei commi 5 e 7. Libertà e pluralismo associativo sono favoriti dal Partito (articolo 30).
Personalmente ritengo che anche le piccole associazioni territoriali, come per esempio i Comitati di Cittadini per L’ULIVO, possano svolgere un ruolo complementare a quello dei circoli PD, interessando al processo di formazione del consenso attorno al PD una base di cittadini non necessariamente disponibile a iscriversi all’Albo degli elettori o al Partito e/o a frequentare assiduamente i circoli, ma eventualmente disponibili a svolgere un’attività di aggiornamento e volontariato culturale/politico, o animati da semplice curiosità, al di fuori dei circoli. Sarebbe auspicabile che si stabilissero rapporti di collaborazione diretti tra i circoli e questi altri soggetti territoriali, come peraltro già avviene in alcuni casi.
Come già accennato, le piccole associazioni locali possono anche favorire il contatto tra eletti e cittadini, ampliandolo al di là dei frequentatori abituali dei circoli.
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Credo che sul piano politico il PD debba misurarsi, tra tante, principalmente su due aree: quella del lavoro e del welfare e quella delle riforme istituzionali.
Lavoro e welfare.
Questi due temi, tra loro collegati, sono quelli maggiormente sentiti dai cittadini. L’attuale precarietà del lavoro oltre a tutti i problemi sociali crea anche enormi problemi economici, sia per il mercato (riduzione della domanda) che per lo Stato (minori redditi = minore gettito fiscale), con conseguenze sulle capacità di finanziare lo stato sociale (o quello che ne rimane) e tutte le attività a carico dello Stato. Il PD deve individuare risposte traducibili in programmi credibili e condivisibili. Lavoro tanto più difficile in quanto deve essere coniugato con politiche di sviluppo ambientalmente sostenibili.
Riforme istituzionali.
Rischiamo di trovarci, anche al nostro interno, in un contrasto tra accaniti sostenitori della necessità di riforme, anche pericolose, e i sostenitori ad oltranza della conservazione. Ci vuole un ragionevole equilibrio. Sono stato tra i sostenitori del NO al referendum costituzionale del 2006 perché convinto della necessità di bocciare una riforma pericolosa e pessimamente elaborata. Attenzione, però. La vittoria del NO è stata solo apparentemente schiacciante (61% dei votanti). In realtà si è espresso per il NO appena il 33% degli aventi diritto al voto (ha votato solo il 52%). E in due regioni saldamente amministrate dal centro destra (Lombardia e Veneto) prevalse il SI. Se questa volta, nonostante gli impegni assunti, l’attuale maggioranza decidesse di procedere con riforme non condivisibili a colpi di maggioranza assoluta, non sono tanto sicuro che riusciremmo a bloccarle con un nuovo referendum. Dobbiamo quindi procedere con vigilanza e con disponibilità verso riforme effettivamente utili e ragionevoli, sulle quali dovremmo trovare una comune piattaforma, intanto al nostro interno, senza dare penosi spettacoli di disaccordo su tutto, e possibilmente anche con gli altri partiti d’opposizione. E questo vale anche per l’eventuale riforma della legge elettorale. Su questi temi la discussione all’interno del PD, e con i cittadini, dovrebbe essere intensa e fruttuosa.
Ferdinando Longoni