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mercoledì 1 ottobre 2008
Bachelet sulla scuola
a cura di RNxPD
(14:24)
Riportiamo il testo dell'intervento di Giovanni Bachelet di ieri sera nell'aula della Camera davanti alla Gelmini.


GIOVANNI BATTISTA BACHELET:

Signor Presidente, malgrado i generosi e umili tentativi di riportare il dialogo e il confronto sullascuola, auspicati anche ieri dal Presidente della Repubblica, dal terreno della fantasia a quello dellarealtà il mitico '68 continua a essere tirato in ballo dal Ministro come origine di tutti i mali dellascuola italiana, in particolare dell'oscuramento dei principi di autorevolezza, autorità, gerarchia,insegnamento, studio, fatica e merito.
Come ho già detto in Commissione, a parte il fatto che nel 1968 io avevo tredici anni e il Ministro beata lei -non era ancora nata, già questa estate mi è parso doveroso scrivere al Corriere della sera che negli ultimi quindici anni i due provvedimenti che nella scuola hanno minato alla base questi principi sono stati l'abolizione degli esami di riparazione ad opera del Ministro D'Onofrio nel 1994 (primo Governo Berlusconi) e l'abolizione dei membri esterni delle commissioni di maturità ad opera del Ministro Moratti nel 2002 (secondo Governo Berlusconi). Ricordando poi che nel 20062007 fortunatamente il Ministro Fioroni (secondo Governo Prodi) aveva posto rimedio ad entrambi questi gravi errori, mi auguravo che, una volta declamati i principi, il Ministro Gelmini mantenesse queste ed altre cose buone fatte da Fioroni e non ricadesse nelle pericolose tentazioni sessantottine dei predecessori D'Onofrio e Moratti, demolitori della meritocrazia nella scuola.
In parte il Ministro lo ha fatto. L'intenzione di rivedere e perfezionare ulteriormente la gestione dei recuperi dei debiti delle superiori non pareva disprezzabile. Anche alcuni aspetti del decreto-legge che discutiamo oggi potevano a prima vista sembrare ragionevoli. Stando all'intervista e al battage pubblicitario che ha preparato la presentazione e la discussione del decreto la mia prima impressione, e forse quella di altri italiani, era complessivamente favorevole. Il Ministro sembrava procedere sulla buona strada intrapresa da Fioroni: educazione alla legalità; stretta sui comportamenti inaccettabili dei ragazzi; meritocrazia.
L'articolo 1 riguardava l'educazione alla cittadinanza e alla Costituzione; l'articolo 2 riguardava il ritorno al voto di condotta; l'articolo 3 riguardava il ritorno al voto in decimi (sembrava almeno) e, tutto sommato, con due nonni militari e una vita da boy scout, non mi sarebbe dispiaciuto nemmeno il grembiulino caro alla collega Giammanco. E anche l'articolo 5 sui libri e l'articolo 6 su titoli di studio abilitanti mi parevano, a prima vista, non troppo sbagliati. E l'articolo 4? I giornali lo presentavano come il ritorno al maestro unico, e confesso che in proposito quando alle elementari fu introdotto il modulo avevo anch'io molti dubbi. Non ne vedevo i vantaggi e pareva anche a me, come dice tuttora Panebianco, che la motivazione fosse più sindacale che educativa. Nel frattempo però sono passati più di quindici anni e a me quattro figli alle elementari tra il 1991 e il 2005 hanno insegnato che la pluralità di figure educative rappresenta non solo in positivo un arricchimento, così come una famiglia con mamma e papà, quando è possibile, è preferibile ad una single parent family, ma anche, grazie alla collegialità, un elemento di controllo reciproco tra docenti e quindi di garanzia e di tutela dei bambini, una specie di assicurazione contro il rischio di imboccare la persona sbagliata per cinque anni e viceversa anche un vantaggio che definirei di equità statistica. L'esperienza dei quattro figli suggerisce che su tre maestre o maestri è quasi certo che almeno uno preparato e molto motivato ci sia.
La seconda impressione, soprattutto grazie alle audizioni fatte lo scorso martedì 16 settembre in Commissione e allo studio analitico del decreto-legge finalizzato ai nostri emendamenti presentati insieme al gruppo del Partito Democratico, è stata invece negativa anche sugli articoli che a prima vista non mi erano parsi tanto male. Di questi articoli non ce n'è stato uno che si sia salvato da pesanti critiche, per niente ideologiche e molto circostanziate e pacate, da parte della maggioranza dei gruppi ascoltati.
A sentire le audizioni ciascuno degli articoli sopraelencati avrebbe avuto con ogni probabilità un effetto controproducente o, nel migliore dei casi, nullo. L'educazione alla Costituzione non si capisce chi la fa e come. Il voto di condotta, senza un rapporto di corresponsabilità tra scuola e famiglia, è inefficace come una grida manzoniana. Il voto in decimi, oltre a possibili pasticci tecnici legati alla lettera del testo, non aggiunge quasi niente fintantoché non sia saldamente agganciato ad una griglia di descrittori dal significato abbastanza univoco.
Quest'ultima cosa ci è stata spiegata bene in Commissione dal professor Cipollone, il capo dell'Invalsi. Anche su testi e titoli abilitanti le obiezioni tecniche degli auditi suggerivano l'urgenza di sostanziali emendamenti. Ma poi, clamorosamente, studiando il decreto-legge ci siamo accorti di un'evidente svista che era sfuggita a tutti: decimi o non decimi d'ora in poi basterà l'insufficienza in una sola materia o gruppo disciplinare per ripetere l'anno alle medie e perfino alle elementari. Ora, io sono per il merito e ho salutato con entusiasmo la reintroduzione della verifica dei debiti di Fioroni alle superiori che correggeva -meglio tardi che mai -l'immane corbelleria demagogica e antimeritocratica di D'Onofrio del 1994. Ma non prevedere alcun recupero e bocciare per una sola materia bambini e ragazzi delle elementari e delle medie appare a chiunque una solenne sciocchezza, resa ancor più grave ed irrimediabile dall'atteggiamento della maggioranza in Commissione che anche di fronte a ragionevoli emendamenti a costo zero, come la correzione della bocciatura senza appello, si è chiusa a riccio e non ha voluto accettarli.
Infine, al circolo del Partito Democratico di san Cosimato a Roma, un'intelligente maestra mi ha svelato un possibile risultato paradossale al quale non avevo pensato. Mi ha detto: finirà che i voti in decimi, usati da maestri e professori delle medie, saranno solo dal 6 al 10. Con questa condizione capestro nessuno metterà l'insufficienza. Così, dopo aver fatto la faccia feroce, continueremo allegramente a promuovere tutti come prima. A questo, purtroppo, porta l'uso della decretazione e la mancanza di concertazione, aggravata dalla caparbietà di una maggioranza che non vuole ammettere di aver fatto una svista nemmeno di fronte all'evidenza. Tutte le associazioni, senza eccezione, nel ringraziare la nostra Commissione segnalavano che l'audizione era la prima ed unica occasione nella quale venivano consultate. Attribuivano la modesta qualità giuridico-pedagogica dell'articolato, all'inedita scelta del Governo di operare per decreto-legge una riforma della scuola niente di meno di questo -occupandosi a sorpresa di quella elementare anziché dei segmenti in maggiore sofferenza, come la secondaria e l'università. Malgrado l'importanza delle implicazioni, senza alcuna consultazione delle associazioni naturalmente coinvolte. E, inoltre, è grave che il Ministro non abbia preventivamente consultato studenti, docenti, presidi, genitori. Ma perché non consultare almeno l'onorevole Aprea, presidente della nostra Commissione cultura? Su molte cose non la vede come noi dell'opposizione, però è competente. A lei e all'onorevole Goisis che nella scuola ha vissuto a lungo, certe papere, secondo me, non sarebbero sfuggite.
Se si vuole riformare la scuola perché non fare un disegno di legge come quello dell'onorevole Aprea e promuovere su tale base un'ampia consultazione? Dov'è l'urgenza? Difficile coglierla nei pochi e disparati provvedimenti a ben vedere piuttosto affrettati e abborracciati degli articoli appenarichiamati. È più facile coglierla, invece, se si pensa male: a pensare male -diceva qualcuno -si fa peccato ma si indovina. Questi provvedimenti sono, nel caso migliore, inefficaci? Non importa, l'importante è che sappiano titillare l'insulso amarcord dei non pochi elettori che, come me, hanno ben più di trent'anni sul groppone e l'importante è che riescano anche a bucare lo schermo. Il grembiule e il voto in decimi bucano lo schermo ben più del piazzamento degli studenti elementari nelle classifiche europee, che è ottimo. Il polverone mediatico servirà così a mascherare la sostanza e il vero scopo del decreto-legge: il micidiale articolo 4 che prevede l'abolizione del team, del modulo, la cui origine è contabile e non didattica, come finalmente anche l'onorevole Aprea ammetteva su il Riformista di ieri. Si trova insomma nei mostruosi tagli già decisi nella finanziaria triennale approvata prima dell'estate. Dopo tutto questi tagli, effettuati dalla legge 6 agosto 2008 n. 133 da qualche parte si devono pur fare. Dunque facciamoli nella scuola questi tagli: tanto la scuola è persa ai fini del consenso al Governo. Gli insegnanti sono tutti comunisti. Dàgli all'insegnante fannullone: se c'è il bullissimo è colpa degli insegnanti, se i ragazzi delle superiori sono impreparati è colpa degli insegnanti. Nell'ambito della scuola facciamo i tagli dov'è più semplice dal punto di vista contabile: togliamo un maestro su tre. Tanti saluti al fatto che in quel segmento di scuola le performance degli studenti erano molto migliori che altrove. Un numero di famiglie pari a dieci volte gli esuberi dell'Alitalia rimane per strada? Pazienza, tanto non votano per noi.
Però il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. I decimi bucano lo schermo ma lo bucano anche le bocciature su una sola materia. Il maestro unico buca lo schermo ma lo buca anche la riduzione dell'orario scolastico. E poi è proprio vero che le poche riforme organiche della scuola italiana e, in particolare, delle elementari siano di origine comunista? Che il team dei maestri elementare sia un'eredità del 1968? Che gli insegnanti siano tutti comunisti? No, sono balle. Gli insegnanti sono di tutti i tipi e, almeno sinora, votano a destra, al centro e a sinistra. Chiunque sia passato a qualunque titolo nella scuola italiana, sa che nella scuola il sindacato più forte sino a poco tempo fa non era quello di sinistra e che tuttora la somma della CISL più lo SNALS supera -credo -la CGIL. Sa che democristiana è stata la riforma delle elementari che ora si vuole abolire e democristiani tutti i Ministri della pubblica istruzione precedenti a quella riforma. Anche senza sapere questo, sarebbe stato sufficiente essere presenti alle audizioni in Commissione, per rendersi conto che sparare sulla scuola non è gratis. Forse per questo una gran parte della maggioranza, durante le audizioni in Commissione, non è venuta, ma la Presidente e la vicepresidente ed altri c'erano e si sono accorti che, delle cinquanta associazioni sindacali, professionali e di studenti e genitori ascoltate, la stragrande maggioranza e anche sigle non politiche, come lo SNALS, l'Associazione italiana maestri cattolici, l'UCIM, il movimento studenti di azione cattolica, l'Age, nonché sindacati tradizionalmente non comunisti come la CISL e la UIL, hanno reclamato a gran voce il ritiro dell'articolo 4 ed espresso motivate e gravi riserve anche sugli altri articoli del decreto-legge in esame. Solo 4 o 5 sigle, quasi tutte collaterali ai partiti di Governo, si sono dichiarate a favore del decreto-legge in esame. Fra questi, perfino gli studenti padani si sono detti favorevoli all'articolo 4, ma solo a certe condizioni, per adesso non previste nell'articolato del decreto-legge in esame. La Lega proporrà i relativi emendamenti o anche stavolta nella maggioranza calerà il silenziatore della fiducia?
Finora ho usato il meno possibile il maestro unico per l'articolo 4 del decreto-legge in esame, sul quale perfino i ragazzi della Lega avevano riserve, probabilmente analoghe alle perplessità estive espresse con molto garbo dal senatore Bossi. Il fatto è che, diversamente dal maestro prevalente, già permesso oggi dalle leggi vigenti, il maestro unico implica un modello unico nazionale e produce ovunque una riduzione senza scampo dell'orario scolastico e un potenziale tracollo anche del tempo pieno, come evidenziato e documentato dai rappresentanti degli enti locali in Commissione e confermato anche dalla lettura della recente bozza di piano ministeriale.
Il vero e più importante risultato non è il maestro unico, è la riduzione dell'orario scolastico a 24 ore settimanali: dove non vi è il tempo pieno i bambini torneranno a casa a mezzogiorno anzichéall'una. È così -ce lo ha ricordato tra gli altri lo SNALS -non ci potrà essere un maestro unico, ci vorrà sempre un secondo maestro, visto che il contratto prevede 22 ore di lezione e due di programmazione: le due ore in più richiederanno risorse aggiuntive -che oltretutto, come osservato dalla Commissione bilancio, non hanno copertura finanziaria -oppure frattaglie di orario di altri maestri, una situazione simile a quella, già prevista dalla legge vigente, del maestro prevalente, che fa 18 ore settimanali, mentre un secondo maestro fa il resto. Ma il resto, oggi, sono 9 ore, perché l'orario completo è di 27 ore settimanali. L'effetto vero dell'articolo 4 non è dunque il tanto strombazzato maestro unico, che in pratica c'è già oggi per chi lo vuole, sotto forma di maestro prevalente: è invece la riduzione di circa il 30 per cento del totale di ore di lezione fornite dalla scuola. Ciò potrà tradursi in un ritorno a casa anticipato dei bambini, in una riduzione del tempo pieno, nella chiusura di qualche migliaio di scuole o in qualche combinazione lineare di queste tre cose.
Qualche giorno fa, nessuno poteva dire in quali proporzioni, ora la bozza di piano presentata dal Ministro ai sindacati conferma le prime due cose, eccome. In particolare il taglio di un maestro ogni tre sul modulo normale, con riduzione dell'orario scolastico per tutti. Sia detto tra parentesi: contro questa riduzione si pronunciano tre italiani su quattro, come mostra il sondaggio del Magazine del Corriere della sera di questa settimana, intitolato «Per chi suona la campanella». In questo sondaggio, il pur autorevole parere dei professori Panebianco e Ricolfi si rivela di minoranza: solo un italiano su quattro crede come loro alla favola secondo cui la scuola, per fornire un miglior servizio, riduce le ore di insegnamento; la favola secondo la quale a mezzogiorno le famiglie, se da scuola telefonano per dire di venire a prendere il figlio o la figlia un'ora prima, saltano di gioia e sfoderano a sorpresa una panoplia di attività integrative (pallavolo, inglese, musica) che tutti, come noi genitori ben sappiamo, si tengono normalmente fra mezzogiorno e l'una. La bozza di piano del Ministro lascia invece intatti gli interrogativi sul destino del tempo pieno. Dai giornali apprendiamo che il Ministro Gelmini non vuole intaccarlo, ma il Ministro Tremonti invece sì. L'indiscrezione suona veramente infausta e sinistra, alla luce di precedenti non confortanti della scorsa estate. Nella prima audizione, infatti, il Ministro aveva dichiarato in Commissione di voler aumentare gli stipendi di maestri e professori addirittura fino ai livelli medi OCSE e di voler svecchiare il corpo docente. Ma poi, pare per intercessione di Tremonti, i primi aumenti di stipendio di docenti meritevoli saranno spostati, addirittura, al 2012. E tutte, ma proprio tutte le assunzioni in ruolo di giovani nella scuola sono state bloccate per almeno tre anni. Se anche col tempo pieno il Ministro dovrà rimangiarsi tutto, siamo davvero fritti. E in tal caso, chissà come la prendono gli elettori del nord, dove è concentrata l'offerta del tempo pieno: qui raggiunge infatti punte del 40 per cento, mentre si attesta solo intorno al 4 per cento nel sud.
Ma se anche il tempo pieno si salvasse -e ne dubitiamo -il taglio al tempo normale, con l'offerta didattica a ventiquattr'ore, rimane purtroppo confermato dalla bozza di piano ministeriale e saranno dolori soprattutto al sud dove, appunto, il tempo normale è quasi la totalità dell'offerta. Le ventisette o le trenta ore rappresentano un lusso che d'ora in poi ci si potrà permettere solo nell'ambito delle risorse date. Provare a fare un simile taglio senza discussione preventiva nel Paese e nel Parlamento con lo strumento della decretazione d'urgenza, chiedere al Parlamento di approvarlo senza conoscere esattamente le conseguenze concrete, rifiutare novantotto emendamenti su cento in Commissione, significa cercare lo scontro. Ciò porta fatalmente a un deterioramento del clima. Non c'è da meravigliarsi se poi qualcuno parla di funerale della scuola elementare italiana. Forse il funerale è un'esagerazione, ma un rischio mortale c'è: perdere un importante primato della scuola italiana che in Commissione abbiamo scoperto di avere grazie al professor Cipollone, presidente dell'Invalsi.
Fra gli altri dati e paragoni internazionali, Cipollone ci ha rivelato che, rispetto al resto dell'Europa, la performance degli studenti italiani è meno influenzata dalla presenza o meno di genitori colti e benestanti. Vogliamo mantenerlo questo primato anche domani? Noi diciamo di sì, anche se, come ricordava in Commissione la CISL, la qualità si paga.
Certo, in campagna elettorale si è anche sentito dire che il figlio dell'operaio non può essere uguale al figlio del professionista, ma escludo che simili affermazioni -incompatibili con l'idea di «Cittadinanza e Costituzione» sottese all'articolo 1 del decreto-legge -siano condivise dal Ministro. Per questo, le chiedo e le chiediamo, tutti noi del Partito Democratico, di ritirare, come hanno richiesto anche quasi tutte le associazioni ascoltate in Commissione, l'articolo 4, che è osteggiato anche -l'abbiamo visto sul Magazine del Corriere della Sera -da tre italiani su quattro.
Chiediamo, inoltre, al Ministro che ora, in Aula, accetti quegli emendamenti di buonsenso del Partito Democratico sulla bocciatura con una sola insufficienza e su altri punti importanti che la maggioranza in Commissione ha respinto senza pietà e senza ragione.
Accompagno questa richiesta con l'auspicio cortese e civile espresso qualche giorno fa dall'associazione italiana maestri cattolici, che alla fine della propria audizione ha detto (cito tra virgolette): «speriamo che i prossimi passi siano ispirati a logiche più partecipate, a valorizzazioni delle esperienze di scuola, all'ascolto di quei mondi che si sono spesi per la scuola e la sua qualità; vorremmo, in sintesi, ritrovare il Ministro Gelmini del giugno scorso, il Ministro che dichiarava autorevolmente: la scuola ha bisogno di stabilità, occorre una politica della continuità, lo scontro politico deve restare fuori dalla scuola, è necessario tener conto delle specificità territoriali e sociali, bisogna attivare la politica del buonsenso e delle soluzioni condivise, il Parlamento ha il dirittodovere di esprimere la propria potestà legislativa».

Anche noi auguriamo questo.

(APPLAUSI DAL PARTITO DEMOCRATICO)