Voci indipendenti di liberi cittadini nella costruzione e nella vita del partito nuovo
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giovedì 13 novembre 2008
Interventi di Bachelet
a cura di RNxPD
(11:23)
Riportiamo i 2 ultimi interventi di Giovanni Bachelet alla Camera e due suoi recenti scritti.







12/11/08 aula: finanziaria e decreto Università


GIOVANNI BATTISTA BACHELET.
Signor Presidente, innanzitutto ringrazio il Presidente Fini per l'intervento che ci ha risparmiato l'ennesimo voto di fiducia e ha consentito questa discussione, nella quale al Partito Democratico e all'opposizione piacerebbe, naturalmente, che alcuni emendamenti, come quello che illustrerò, fossero approvati. I numeri non ci sono favorevoli, comprendiamo che governare sia un diritto-dovere della maggioranza e restiamo, anzi, ammirati di fronte alla sua compattezza. Abbiamo visto parlamentari siciliani del Popolo della Libertà che, con le lacrime agli occhi, tagliano fondi
alla Sicilia; e cattolici del Popolo della Libertà che, virilmente, tolgono soldi alle scuole materne delle suore. Ma poi con che faccia si ripresenteranno ai loro elettori?
Faccio un'ipotesi: non si vergogneranno perché, forse, si riservano, con un colpo di teatro, di restituire in seguito una parte dei soldi tolti, magari con un bel decreto-legge. Il risultato netto sarà un taglio di fondi, ma il Governo, con la copertura di media compiacenti, ci farà la figura di Babbo Natale; e i malcapitati, siciliani o alunni delle materne, saranno contenti e gabbati.
Le vicende di università, ricerca e innovazione, cui è legato l'emendamento in esame, avvalorano questa ipotesi. La legge 133 del 2008 e il disegno di legge finanziaria per il 2009, ora in discussione, hanno riservato al settore un trattamento che ricorda quello degli Americani a Dresda.
L'emendamento di cui sono primo firmatario, e altri presentati dai parlamentari del Partito Democratico, miravano e mirano ad evitare la morte di questi settori, tramite il recupero di alcuni tagli. Non è demagogia, onorevole Cicchitto, ma la via ordinaria prevista dalla Costituzione per discutere e correggere il bilancio. Il Governo, invece, che cosa fa? A luglio pone la questione di fiducia sul decreto-legge in materia finanziaria, che opera grandi tagli per tre anni. I nostri emendamenti di allora, miranti al recupero fondi per l'università, ricerca e innovazione, vengono così tutti annullati. Anche ora, in riferimento al disegno di legge finanziaria per il 2009, il Governo esprime un parere contrario su questo mio emendamento e su altri di simile argomento che, nei giorni scorsi, vengono tutti respinti in Commissione.
Negli stessi giorni, però, il Governo presenta un decreto su università, ricerca e diritto allo studio che realizza (solo in parte, purtroppo) emendamenti da noi proposti e da lui bocciati, da luglio fino ad oggi: recupero di parte dei fondi, sblocco parziale del turn over, sblocco della pianta organica degli enti di ricerca.
Naturalmente il Governo si guarda bene dal dire: stiamo restituendo parte del maltolto a università e ricerca, stiamo facendo quel che da mesi chiede il Partito democratico; dice invece: signore e signori, ecco nuove risorse per università, ricerca e diritto allo studio, guardate come siamo bravi. Non sarà questa demagogia?
Sul diritto allo studio ci sono aggravanti: diversamente dai nostri emendamenti, l'ultimo decreto del Governo aumenta i fondi, ma a spese del FAS, il fondo per le aree sottoutilizzate.
Osservo che, quando si dispone di un'ampia maggioranza, legiferare per decreto-legge è inutilmente arrogante, ma soprattutto meno efficiente rispetto alla normale strada della discussione e della correzione parlamentare. Lo vediamo ora: il Governo torna indietro, parzialmente, sotto la pressione di un'imponente mobilitazione popolare.

PRESIDENTE.
Deve concludere.

GIOVANNI BATTISTA BACHELET.
Ho finito. Ma intanto l'Italia ha perso mesi e giornate di lavoro, di scuola, di lezioni universitarie; e con esse ha perso un altro pezzo di fiducia nella politica, nella democrazia, nel Parlamento e, anzitutto, nel Governo; come suggeriscono le recenti elezioni trentine e lo stesso Presidente del Consiglio, che oggi si lamenta di essere troppo spesso dileggiato in televisione.
Poiché questi recuperi relativi al programma della ricerca non sono inclusi tra quelli
operati dal decreto Gelmini ultimo, chiedo che il Governo cambi parere e l'Aula lo approvi...

PRESIDENTE.
Grazie, onorevole Bachelet.

GIOVANNI BATTISTA BACHELET
...risparmiando al Paese la fatica di protestare, e al Governo quella di rimangiarseli in futuro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

5/11/08 aula: su magistrati e Costituzione


GIOVANNI BATTISTA BACHELET
Signor Presidente, intervengo a titolo personale per dire che, poiché è tutta la mattina che sentiamo dall'onorevole Brigandì attaccare l'inamovibilità dei magistrati e il loro autogoverno da parte del Consiglio superiore della magistratura, vorrei ricordare – come è già stato fatto da un collega stamattina – che ambedue le cose sono nella Costituzione.
Capisco che forse all'onorevole Brigandì non piace la Costituzione in questa parte, e che, secondo i meccanismi previsti dalla Costituzione stessa, intenderà cambiarla, ma finché vale questa Costituzione noi ci muoviamo nel suo ambito. Se poi l'onorevole Brigandì e il suo partito vogliono cambiarla, ricordo, come tesoriere del comitato del referendum costituzionale del 2006, che questi cambiamenti devono incontrare il favore del popolo italiano, perché altrimenti – come è già capitato – vengono bocciati.
Finché però i cambiamenti non vi sono, la nostra Costituzione vale, ed è per essa che, come ricordava l'onorevole Brigandì, sono morti magistrati, poliziotti e carabinieri; e diversi membri del nostro gruppo parlamentare, che hanno sentito questo problema in modo più personale, sono convinti che è per questa Costituzione che essi hanno dato la vita.






9/11/08 cronaca di un decreto fantasma

La sera di mercoledì 5 novembre, dopo un'intera giornata di votazioni in aula, mentre impazzano i festeggiamenti di Obama, deputati e senatori Pd della VII Commissione saltano la cena e si riuniscono con gli attuali responsabili di istruzione, università e ricerca, la senatrice Garavaglia e il professor Modica. Si deve discutere di ricerca, università, fondazioni universitarie, nonché, specificamente, dei dieci punti del Pd sull'università resi noti alla stampa, sui quali saremo per la prima volta consultati. Dalle elezioni di aprile è infatti la seconda volta che ci incontriamo con loro, e la prima in cui si discute della linea del partito democratico. Un po' tardino, essendoci stati fra giugno e novembre tre o quattro decreti del governo (e una parallela campagna di stampa) che hanno bombardato scuola, università e ricerca con effetti non dissimili da quelli ottenuti dagli americani a Dresda.
Per fortuna, anche senza direttive dal centro, deputati e senatori (in parlamento), e studenti genitori docenti sindacato (nelle scuole, nelle università, nelle piazze), hanno già, nel frattempo, combattuto una battaglia abbastanza efficace, provocando le prime marce indietro e le prime correzioni di rotta del governo. Comunque, con il mitico governo ombra, meglio riunirsi tardi che mai! Nel farlo proprio quel mercoledí 5 novembre, abbiamo avuto anche un pizzico di fortuna: la riunione, prevista da tempo, cade alla vigilia di un Consiglio dei ministri nel quale la Gelmini, dopo aver tentennato la settimana precedente, si appresta, secondo notizie arrivate ad alcuni di noi, a varare un decreto su università e ricerca. Possiamo così parlarne insieme e provare, per una volta, a discutere e definire insieme una linea d'azione comune in tempo reale.Nessuno ha in mano un testo scritto, ma le voci raccolte suggerirebbero cauto ottimismo. A quanto pare si tratterebbe di una prima, parziale marcia indietro. Si rinuncerebbe ad alcuni tagli e provvedimenti approvati nei mesi precedenti che, nel loro insieme, hanno messo in ginocchio ricerca e università. In altre parole, le correzioni di questo decreto verrebbero incontro, ad alcuni emendamenti da noi presentati prima dell'estate in parlamento (e bocciati da governo e maggioranza) e alle corrispondenti, più recenti grida di dolore del movimento di studenti genitori e docenti. A questa correzione il decreto aggiungerebbe anche una variante dei meccanismi concorsuali, per la maggioranza di noi non risolutiva ma nemmeno disprezzabile (commissioni sorteggiate anziché elette, abolizione delle prove scritte per i ricercatori), e comunque -se le anticipazioni della vigilia fossero confermate - limitata ai concorsi banditi fino a Natale.In queste circostanze l'urgenza del decreto potrebbe essere giustificata: forse, per correggere decreti arroganti e sbagliati fatti a inizio legislatura, al governo non resta che fare nuovi decreti. Ma forse no: per correggere alcune mostruosità in materia di finanziamenti tagliati e blocco del turnover, era più semplice accettare in aula, da parte del governo, alcuni emendamenti alla legge finanziaria presentati dal Pd, ma bocciati proprio in questi giorni (!) in Commissione dalla maggioranza. Quanto alle novità concorsuali aggiunte alla marcia indietro sui tagli, esse paiono un po' frettolose e condizionate da campagne di stampa in corso, ma non, almeno a prima vista, mostruose; dovrebbero comunque durare solo fino a Natale. Poi una vera riforma di lungo periodo, incluse le regole concorsuali, verrà affidata al parlamento nella forma di un ordinario disegno di legge. Prima della riunione era sfuggita a Modica, nel pomeriggio, una lunga e risentita nota di protesta sull'uso del decreto per definire nuove regole concorsuali; ad altri, alla riunione, sembra che le nuove regole concorsuali previste dal decreto non siano né geniali né terribili e, se limitate a una sola tornata, possano meritare un'accoglienza non pregiudizialmente negativa.La marcia indietro sui tagli, poi, va salutata con favore. Duro deve essere invece l'atteggiamento sulle riforme di lungo periodo: il dialogo si potrà riaprire solo se il governo si rimangia i tagli, come ben ha detto Veltroni qualche giorno prima; anche riguardo all'articolo 16 della legge 133 sulle fondazioni universitarie, se il governo non lo ritira, qualcuno propone la linea dura: un referendum.Nessuno, però, può essere certo che il Consiglio dei ministri di domani approverà un testo del tutto conforme alle anticipazioni di oggi. E' quindi prematuro analizzare in dettaglio le nuove regole concorsuali: non si può essere certi che valgano davvero per una sola tornata, né esprimere un giudizio preciso sulla restituzione dei tagli (entità dei fondi recuperati, ma anche origine del ricupero: anche stavolta dai fondi alle regioni disagiate? eh no!). In queste condizioni sciogliamo la riunione, anche perché è mezzanotte, delineando vari scenari possibili a seconda di quale sia il testo definitivo del decreto. Il pomeriggio del giorno dopo, giovedì 6 novembre, mi trovo alla Luiss alla presentazione del libro di Tognon e Capano su temi strettamente collegati (La crisi del potere accademico in Italia, Arel - Il Mulino 2008) quando giunge la conferma che si sta svolgendo una conferenza stampa subito dopo l'approvazione del decreto in Consiglio dei ministri. L'annuncio io stesso nel corso del dibattito, chiedendo a Valditara, (Pdl segretario della VII Commissione al Senato), fra i presentatori del libro, se il metodo della decretazione d'urgenza sia proprio il più idoneo all'intervento di lungo periodo, necessariamente bipartisan, che lui stesso ed altri illustri intervenuti avevano pochi secondi prima auspicato per università e ricerca.Valditara nella sua risposta cerca di tranquillizzare me e l'uditorio attraverso la conferma delle anticipazioni che risultavano la sera prima: è un decreto che rimedia alcuni problemi davvero urgenti, mentre l'intervento di lungo periodo sarà un disegno di legge aperto al contributo parlamentare e al dialogo bipartisan. Bene, bene. Se davvero è così lo giudicheremo fra pochissimo dal testo definitivo: ormai la conferenza stampa che ne annuncia l'approvazione è finita, è questione di minuti e poi apparirà sulla pagina web della presidenza del Consiglio e del MIUR, fatto indispensabile se il decreto agisce, come si dice, anche sui concorsi già banditi, con effetto immediato. Il se è d'obbligo perché il Consiglio dei ministri è durato più del previsto e la voce insistente è che stessero rimaneggiando proprio il testo del decreto su università e ricerca. Chissà, quindi, quanta parte delle anticipazioni della vigilia è sopravvissuta nel testo definitivo.Sto finendo di scrivere questo commento la mattina di domenica 9 novembre. Tuttora sul sito web della Presidenza del Consiglio c'è solo lo scarno comunicato stampa del 6 novembre che annuncia l'approvazione. Ma è stato veramente approvato qualcosa, e che cosa? La domanda è lecita perché, dopo un diluvio di commenti (non solo da parte di telegiornali e giornali, ma perfino del Presidente della Repubblica), il testo non è ancora disponibile: incredibile ma vero, non si trova da nessuna parte. A nulla è valsa la nota di Stefano Ceccanti che l'altro ieri denunciava lo stato di cose, il disprezzo dei diritti del Parlamento e dei cittadini, la situazione davvero inaudita: il decreto è già operativo (venerdí le migliaia di professori universitari di tutta Italia hanno ricevuto un email ministeriale che, in esecuzione del decreto, sospende le votazioni di lunedí prossimo per concorsi già banditi), ma nessuno ne conosce il testo.In queste incredibili condizioni sembra inutile continuare a parlare del decreto finché non verrà pubblicato. Forse, quando finalmente potremo leggerlo, lo troveremo parzialmente o magari totalmente accettabile. Intanto, però, con questo gratuito schiaffone alle regole, un altro pezzetto della nostra democrazia se n'è andato. http://www.giovannibachelet.it/La sera di mercoledì 5 novembre, dopo un'intera giornata di votazioni in aula, mentre impazzano i festeggiamenti di Obama, deputati e senatori Pd della VII Commissione saltano la cena e si riuniscono con gli attuali responsabili di istruzione, università e ricerca, la senatrice Garavaglia e il professor Modica. Si deve discutere di ricerca, università, fondazioni universitarie, nonché, specificamente, dei dieci punti del Pd sull'università resi noti alla stampa, sui quali saremo per la prima volta consultati. Dalle elezioni di aprile è infatti la seconda volta che ci incontriamo con loro, e la prima in cui si discute della linea del partito democratico. Un po' tardino, essendoci stati fra giugno e novembre tre o quattro decreti del governo (e una parallela campagna di stampa) che hanno bombardato scuola, università e ricerca con effetti non dissimili da quelli ottenuti dagli americani a Dresda.
Per fortuna, anche senza direttive dal centro, deputati e senatori (in parlamento), e studenti genitori docenti sindacato (nelle scuole, nelle università, nelle piazze), hanno già, nel frattempo, combattuto una battaglia abbastanza efficace, provocando le prime marce indietro e le prime correzioni di rotta del governo. Comunque, con il mitico governo ombra, meglio riunirsi tardi che mai! Nel farlo proprio quel mercoledí 5 novembre, abbiamo avuto anche un pizzico di fortuna: la riunione, prevista da tempo, cade alla vigilia di un Consiglio dei ministri nel quale la Gelmini, dopo aver tentennato la settimana precedente, si appresta, secondo notizie arrivate ad alcuni di noi, a varare un decreto su università e ricerca. Possiamo così parlarne insieme e provare, per una volta, a discutere e definire insieme una linea d'azione comune in tempo reale.Nessuno ha in mano un testo scritto, ma le voci raccolte suggerirebbero cauto ottimismo. A quanto pare si tratterebbe di una prima, parziale marcia indietro. Si rinuncerebbe ad alcuni tagli e provvedimenti approvati nei mesi precedenti che, nel loro insieme, hanno messo in ginocchio ricerca e università. In altre parole, le correzioni di questo decreto verrebbero incontro, ad alcuni emendamenti da noi presentati prima dell'estate in parlamento (e bocciati da governo e maggioranza) e alle corrispondenti, più recenti grida di dolore del movimento di studenti genitori e docenti. A questa correzione il decreto aggiungerebbe anche una variante dei meccanismi concorsuali, per la maggioranza di noi non risolutiva ma nemmeno disprezzabile (commissioni sorteggiate anziché elette, abolizione delle prove scritte per i ricercatori), e comunque -se le anticipazioni della vigilia fossero confermate - limitata ai concorsi banditi fino a Natale.In queste circostanze l'urgenza del decreto potrebbe essere giustificata: forse, per correggere decreti arroganti e sbagliati fatti a inizio legislatura, al governo non resta che fare nuovi decreti. Ma forse no: per correggere alcune mostruosità in materia di finanziamenti tagliati e blocco del turnover, era più semplice accettare in aula, da parte del governo, alcuni emendamenti alla legge finanziaria presentati dal Pd, ma bocciati proprio in questi giorni (!) in Commissione dalla maggioranza. Quanto alle novità concorsuali aggiunte alla marcia indietro sui tagli, esse paiono un po' frettolose e condizionate da campagne di stampa in corso, ma non, almeno a prima vista, mostruose; dovrebbero comunque durare solo fino a Natale. Poi una vera riforma di lungo periodo, incluse le regole concorsuali, verrà affidata al parlamento nella forma di un ordinario disegno di legge. Prima della riunione era sfuggita a Modica, nel pomeriggio, una lunga e risentita nota di protesta sull'uso del decreto per definire nuove regole concorsuali; ad altri, alla riunione, sembra che le nuove regole concorsuali previste dal decreto non siano né geniali né terribili e, se limitate a una sola tornata, possano meritare un'accoglienza non pregiudizialmente negativa.La marcia indietro sui tagli, poi, va salutata con favore. Duro deve essere invece l'atteggiamento sulle riforme di lungo periodo: il dialogo si potrà riaprire solo se il governo si rimangia i tagli, come ben ha detto Veltroni qualche giorno prima; anche riguardo all'articolo 16 della legge 133 sulle fondazioni universitarie, se il governo non lo ritira, qualcuno propone la linea dura: un referendum.Nessuno, però, può essere certo che il Consiglio dei ministri di domani approverà un testo del tutto conforme alle anticipazioni di oggi. E' quindi prematuro analizzare in dettaglio le nuove regole concorsuali: non si può essere certi che valgano davvero per una sola tornata, né esprimere un giudizio preciso sulla restituzione dei tagli (entità dei fondi recuperati, ma anche origine del ricupero: anche stavolta dai fondi alle regioni disagiate? eh no!). In queste condizioni sciogliamo la riunione, anche perché è mezzanotte, delineando vari scenari possibili a seconda di quale sia il testo definitivo del decreto. Il pomeriggio del giorno dopo, giovedì 6 novembre, mi trovo alla Luiss alla presentazione del libro di Tognon e Capano su temi strettamente collegati (La crisi del potere accademico in Italia, Arel - Il Mulino 2008) quando giunge la conferma che si sta svolgendo una conferenza stampa subito dopo l'approvazione del decreto in Consiglio dei ministri. L'annuncio io stesso nel corso del dibattito, chiedendo a Valditara, (Pdl segretario della VII Commissione al Senato), fra i presentatori del libro, se il metodo della decretazione d'urgenza sia proprio il più idoneo all'intervento di lungo periodo, necessariamente bipartisan, che lui stesso ed altri illustri intervenuti avevano pochi secondi prima auspicato per università e ricerca.Valditara nella sua risposta cerca di tranquillizzare me e l'uditorio attraverso la conferma delle anticipazioni che risultavano la sera prima: è un decreto che rimedia alcuni problemi davvero urgenti, mentre l'intervento di lungo periodo sarà un disegno di legge aperto al contributo parlamentare e al dialogo bipartisan. Bene, bene. Se davvero è così lo giudicheremo fra pochissimo dal testo definitivo: ormai la conferenza stampa che ne annuncia l'approvazione è finita, è questione di minuti e poi apparirà sulla pagina web della presidenza del Consiglio e del MIUR, fatto indispensabile se il decreto agisce, come si dice, anche sui concorsi già banditi, con effetto immediato. Il se è d'obbligo perché il Consiglio dei ministri è durato più del previsto e la voce insistente è che stessero rimaneggiando proprio il testo del decreto su università e ricerca. Chissà, quindi, quanta parte delle anticipazioni della vigilia è sopravvissuta nel testo definitivo.Sto finendo di scrivere questo commento la mattina di domenica 9 novembre. Tuttora sul sito web della Presidenza del Consiglio c'è solo lo scarno comunicato stampa del 6 novembre che annuncia l'approvazione. Ma è stato veramente approvato qualcosa, e che cosa? La domanda è lecita perché, dopo un diluvio di commenti (non solo da parte di telegiornali e giornali, ma perfino del Presidente della Repubblica), il testo non è ancora disponibile: incredibile ma vero, non si trova da nessuna parte. A nulla è valsa la nota di Stefano Ceccanti che l'altro ieri denunciava lo stato di cose, il disprezzo dei diritti del Parlamento e dei cittadini, la situazione davvero inaudita: il decreto è già operativo (venerdí le migliaia di professori universitari di tutta Italia hanno ricevuto un email ministeriale che, in esecuzione del decreto, sospende le votazioni di lunedí prossimo per concorsi già banditi), ma nessuno ne conosce il testo.In queste incredibili condizioni sembra inutile continuare a parlare del decreto finché non verrà pubblicato. Forse, quando finalmente potremo leggerlo, lo troveremo parzialmente o magari totalmente accettabile. Intanto, però, con questo gratuito schiaffone alle regole, un altro pezzetto della nostra democrazia se n'è andato.

http://www.giovannibachelet.it/


5/11/08 Obama, il sogno si è avverato

Il 4 aprile del 1968 una pallottola uccideva Martin Luther King, Jr. mentre prendeva una boccata d’aria sul balcone di un motel di Memphis, Tennessee. Aveva solo trentanove anni; oggi ne avrebbe settantanove. Era un pastore, un uomo di Chiesa, e aveva speso tredici anni della sua vita nella difesa non violenta dei diritti dei neri americani, nella lotta alla povertà e contro la guerra in Vietnam, dal grande boicottaggio degli autobus nel 1955 (per solidarietà con la piccola vecchia Rosa Parks, arrestata perché si era rifiutata di alzarsi per far sedere un bianco a Montgomery, Alabama), passando per la grande marcia su Washington per il lavoro e la libertà del 1963, fino alla Poor People’s Campaign per la giustizia economica del 1968.
Sotto la presidenza di John Kennedy, con la collaborazione del fratello Robert allora ministro della giustizia, il movimento di King, nonviolento e dichiaratamente ispirato ai principi evangelici, gettò le basi di grandi riforme sociali e del superamento della segregazione: un terreno sul quale anche il presidente Johnson andò avanti, dopo la morte di Kennedy. L’assassinio di King, seguito a pochi mesi di distanza da quello di Robert Kennedy (in quello stesso 1968 candidato alla presidenza) sembrarono, a cinque anni dall’assassinio di John Kennedy, la pietra tombale sulle speranze di un’epoca: la prova definitiva che sperare e combattere con le armi della ragione e della nonviolenza, confidando nella forza rivoluzionaria dell’amore cristiano, erano pie illusioni.
Alcuni cristiani persero la speranza e diventarono comunisti. Altri cristiani persero la speranza e cominciarono a rimangiarsi l’opzione a favore dei poveri e degli ultimi, tornando a simpatizzare coi ricchi e i potenti. Solo pochi tennero duro, ricordando che il successo immediato non dovrebbe essere, specialmente per i cristiani, l’unico metro per l’azione politica. Questa verità, che vent’anni fa Roberto Ruffilli cercava di ricordarci in un indimenticabile incontro a Brentonico (in: Aldo Moro e Vittorio Bachelet, memoria per il futuro, Il Margine 2008), risplende, quarant’anni dopo, nell’elezione di Barack Obama. «Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere». Il sogno si è avverato.
La fede e l’impegno politico democratico, la battaglia intransigente per la giustizia e l’amore dei nemici non solo si possono e si devono conciliare, ma sono, sul lungo periodo, vincenti: cambiano i cuori, il mondo, la storia. Nel Paese dove cinquant’anni fa i neri non potevano sedersi in autobus il nuovo presidente è nero. Ad Atlanta, Georgia, dove anch’io sono stato pellegrino, vicino alla parrocchia della quale era parroco, in una tomba che emerge dall’acqua, segno del Battesimo e della sua chiesa Battista, Martin Luther King può dormire tranquillo, nell’attesa della risurrezione.
Questo articolo è stato pubblicato Giovedì, 6 Novembre 2008 alle 10:33 e classificato in Fatto del giorno. Puoi seguire i commenti a questo articolo tramite il feed RSS 2.0. I commenti sono disabilitati, ma puoi fare un trackback dal tuo sito.