Forse intervengo a tempo ormai scaduto (ma non lo credo, perché la questione è più che mai aperta). Meditavo da tempo di esternare il mio pensiero sul problema del rapporto Israele-palestinesi, ma venivo sempre sorpreso dall'incalzare di eventi, oltre a quelli bellici, amplificati dai media: dichiarazioni, controdichiarazioni, manifestazioni, contromanifestazioni, dichiarazioni sulle manifestazioni, spettacoli televisivi controversi, lite tra presentatori, commenti da cariche istituzionali, ecc.. E finivo sempre per rimandare in attesa della puntata successiva.
Voglio subito precisare che non intendevo, in questa sede, intervenire sulla questione politico-militare: è troppo complessa per essere trattata in poche righe e con la mia limitata conoscenza dei problemi. Volevo, invece, e lo faccio adesso, affermare la mia libertà di esprimere il mio giudizio morale sui recenti eventi bellici e su tutta la questione, vecchia ormai di 60 anni (tanti ne sono passati dalla creazione dello Stato di Israele), senza dovermi sentir dare dell'anti-semita o, peggio, visto che anche i palestinesi sono semiti, più precisamente dell'anti-ebraico. Soprattutto mi da fastidio la presunta lezione morale impartita da personaggi razzisti, xenofobi, che si dichiarano post-fascisti (dopo le abluzioni di Fiuggi), che fino a ieri esaltavano la figura del Duce (autore delle leggi razziali) e che ancor oggi guardano con benevola indulgenza ai gruppi di estrema destra che romanamente salutano, incivilmente imbrattano i cimiteri ebraici, manifestano la loro nostalgia per gli organizzatori dei lager, delle camere a gas e dei forni crematori.
Rivendico la mia libertà di giudizio e non accetto il ricatto morale espresso dall'equazione: criticare la politica di Israele = essere antiebraico.
Provo anche un certo fastidio, lo confesso, a sentire le argomentazioni di persone, che per altro stimo, come Furio Colombo che in una recente intervista a "8 e 1/2" (quella condotta da Lilli Gruber su La7) ha avanzato la teoria che, siccome esistono ancor oggi (e forse oggi più che mai) fermenti antiebraici nella nostra società occidentale, non si debbano avanzare critiche all'operato di Israele a Gaza perché ciò equivarrebbe a sostenere che Israele è il male e quindi va distrutto (come afferma l'Iran). Teoria alquanto originale, anche perché potrebbe sottintendere che invece il male sono i palestinesi e, per proprietà transitiva, tutto il mondo islamico, e quindi "viva la guerra santa!". A quando la prossima crociata?
Torniamo al diritto di critica mio e di tutti noi.
Non credo di essere antiebraico. Alcuni dei miei amici sono ebrei. Stimo enormemente le qualità migliori degli ebrei, specie quelle intellettuali. Sono confortato nella mia critica all'operato dei governi israeliani succedutisi, specie dopo l'assassinio di Rabin, dalla contestazione, sia in Israele che nel mondo, di molti intellettuali ebrei e anche di persone comuni, che certo non possono essere tacciati di anti-ebraismo (o forse tra un po' saranno condannati per alto tradimento?).
La creazione a tavolino, nel secondo dopoguerra, dello Stato di Israele ha certamente risolto un problema, ma ne ha aperto uno grandissimo. Si è riconosciuto il diritto alla "terra promessa" di un popolo dopo secoli e non si vuole riconoscere il diritto ad un'altro popolo di avere la propria terra, sottrattagli appena da qualche decennio. Si condannano, giustamente, azioni terroristiche da una parte, ma si dovrebbe accettare la sistematica occupazione e colonizzazione dei territori portata avanti da sempre. Si condannano, giustamente, i lanci di razzi da parte di Hamas, con alcune decine di morti e qualche danno materiale (più fumo che arrosto), ma si dovrebbe passare sotto silenzio un'operazione militare che in un mese ha fatto oltre 1000 morti e varie migliaia di feriti, distruggendo abitazioni civili e infrastrutture. Azione che inevitabilmente porta alla memoria famigerate rappresaglie (10 per 1) che volevamo, e speravamo, cancellate da tempo e che sorprendono tanto più quando effettuate da un popolo che se ne dovrebbe ben ricordare. O forse i governanti di Israele pensano, coerentemente con la logica dell'"occhio per occhio, dente per dente", di poter godere di un credito di 6 milioni di vite umane?
Qui non si tratta di essere anti-israeliani e pro-palestinesi, o vicecersa. Si tratta, con onestà intellettuale, di riconoscere che esistono intollerabili asimmetrie e disequilibrii (non dimentichiamo le numerosissime risoluzione dell'ONU, sistematicamente ignorate dai governi israeliani, sotto il silenzio generale).
Nessuno di noi, credo, vuole contestare a Israele il diritto alla propria sicurezza e alla propria esistenza, ma non si può continuare a ignorare il sacrosanto diritto dei palestinesi di avere un proprio Stato indipendente, ossia la sovranità su un proprio (adeguato) territorio. La situazione ormai è quella che è e da questo punto si deve ripartire con l'unico strumento possibile: quello della politica. Israele deve capire che lo strumento militare può solo accrescere la disperazione dei palestinesi e quindi favorire le fazioni più radicali. E aumentare l'isolamento politico internazionale. Israele ha fin qui creduto di poter utilizzare a proprio vantaggio la propensione dell'amministrazione Bush per l'opzione militare preventiva (e forse non a caso l'operazione Gaza è avvenuta nelle ultime settimane della presidenza di "W"). Speriamo che con l'amministrazione Obama si torni a far funzionare la politica e l'ONU.
Nel frattempo, continuo a esprimere il mio pensiero e a non accettare nessuna forma di ricatto morale. Mai!
Ferdinando Longoni