Voci indipendenti di liberi cittadini nella costruzione e nella vita del partito nuovo
lunedì 6 luglio 2009
Alcune prime incomplete riflessioni sul processo congressuale
a cura di RNxPD
(11:09)
Riportiamo un contributo di Paola Gaiotti .


La prima tappa del cammino da percorrere non è la presentazione, la dichiarazione a favore di un candidato o dell’ altro (che in questa fase mi sembra di fatto rappresentare la vecchia politica) ma la definizione dei capitoli chiave da affrontare. Tutti questi capitoli si collocano necessariamente entro il quadro politico di fondo che siamo chiamati a raccogliere: intendo la grande svolta mondiale aperta con la crisi economica mondiale, che ha fatto giustizia del mito liberista e della esasperazione competitiva, e il mutamento radicale della politica americana sia in termini di messaggio ideale sia in termini di obiettivi programmatici internazionale. E’ entro questo quadro che si collocano tutte le opportunità non solo della costruzione definitiva del PD, ma dell’imprescindibilità di farlo nella piena consapevolezza del carattere internazionale e comunque europeo dell’obiettivo da raggiungere, al di là di ogni visione nazionalmente riduttiva (malgrado la tipicità e gravità dello stato della democrazia italiana) della sfida in questione.

Questo rinvio della scelta delle candidature, da far nascere dal dibattito ormai aperto, non è affatto in contrasto col riconoscimento oggettivo dei meriti della segreteria Franceschini. Franceschini ha raccolto con lealtà un’eredità pesante legata agli errori originari del processo costitutivo del PD, in cui una opzione sostanzialmente presidenzialista, implicita nel larghissimo sia pur variegato sostegno a Veltroni ha di fatto coinciso con un’opzione oligarchica, di garanzia per i gruppi dirigenti uscenti, che hanno rinunciato a contarsi nell’ammucchiata delle liste veltroniane per mantenere intatto il loro potere di veto, e legata agli effetti disastrosi di una dichiarazione di autosufficienza che, sia pure involontariamente, ha prodotto prima la crisi di governo poi la sconfitta. E’ da questa eredità pesante che sono nati gli organi elefantiaci locali privi di poteri di decisione reali, la difficoltà di far emergere una nuova classe dirigente, il vuoto che ha segnato il rapporto fra la vitalità di molti circoli e l’iniziativa centrale.

Malgrado questo Franceschini ha trasmesso con efficacia, in modo netto e determinato, l’immagine di un partito d’opposizione con una sua precisa identità fatta insieme di richiami ideali inequivocabili e coerenti con i comportamenti, di concretezza propositiva, anche in Parlamento, di fronte ai gravi dati dell’economia diffusa. E devono essergli riconosciuti formalmente alcuni meriti: la serietà, di alto valore simbolico, che sanziona la diversità del PD da Berlusconi, per cui non ci sono state candidature finte di facciata; la scelta d’insieme dei candidati alle europee che ha rispettato valori del territorio e innovazione; l’aver portato felicemente a compimento il problema del gruppo europeo di appartenenza , nel segno di un europeismo non di facciata che conosce le difficoltà da affrontare, ma si da gli strumenti per cambiare il quadro. Questo risultato va considerato questione chiave del progetto PD, il cui successo non si determina solo sul piano nazionale, ma è legato alla capacità del riformismo europeo di porsi, attraverso un suo profondo rinnovamento, a livello internazionale come risposta alle nuove sfide che si diceva.

I capitoli da affrontare per definire il quadro congressuale, non nella chiave rischiosa della competitività strumentale, per la scelta del segretario, ma nella chiave positiva del rilancio dell’identità comune del PD, sembrano ancora:
  • a) una riflessione ulteriore sulle coerenze del progetto PD, che c’è già a mio avviso nella militanza di base ma che sembra talora ancora esposta a pur minoritarie derive politicistiche strumentali (quali i confini del pluralismo interno, quale laicità, quale strategia sui temi, fra loro connessi, della questione morale, della difesa democratica, della coerenza costituzionale, quali le propspettive per la reinvenzioni di un modello ottimale del rapporto Stato/mercato, politiche sociali, ecc.) ;
  • b) la correzione della forma partito anomala che abbiamo finito col mettere in piedi, ridando funzionalità democratica ad organi effettivamente eletti, e ai processi di selezione dei gruppi dirigenti, investendo nella cultura diffusa e nell’informazione periodica, terreno vitale del confronto con l’Italia di Berlusconi, più di quanto abbiamo investito finora;
  • c) la ridefinizione del senso stesso della politica di alleanze.
Su ognuno di questi punti c’è un buon lavoro da fare. Vorrei qui limitarmi all’ultimo punto. Non basta la verifica che l’ambizione di autosufficienza non è comunque alla nostra portata oggi e ci lascia perdenti. La stessa accettazione dell’ipotesi di coalizioni democratiche implica di sapersi muovere a più livelli potenziali: il primo è la pura registrazione di una convergenza di opposizione, comunque relativa alle questioni in discussione e per principio non impegnativa per il futuro; il secondo è la eventuale costruzione di alleanze elettorali in funzione di una legge che prevede il premio di maggioranza, anche solo per evitarlo alla controparte; la terza è un’alleanza di governo strutturata intorno a un programma e a uno stile di comportamenti vincolanti; il quarto è la prospettiva , che non si deve lasciar cadere come prospettiva propria dell’ identità del PD , della costruzione di un grande soggetto politico; non sta solo a noi dire se protagonista del bipolarismo o del bipartitismo, ma capace comunque di garantire alternanza e governabilità del sistema. I due ultimi livelli indicati possono entrambi, pure in forme diverse, ricollocarsi entro le speranza accese dall’ Ulivo, concepito in una prima fase come alleanza, in una seconda come soggetto autonomo, ma comunque animato dalla esigenza di costruzione di una nuova cultura politica, capace di costruire convergenze, di esprimere volontà di governo e non solo di protesta. Non sembrano invece praticabili investimenti di lungo periodo costruiti soltanto sulla nostalgia parlamentare del centro. Certamente il Pd deve saper recuperare ad un disegno di centro sinistra quanto più possibile di un elettorato di centro, nella stessa misura con cui deve saper recuperare un elettorato della sinistra di governo. Ma da una parte gli incontro con gli uni e con gli altri non devono mai far trasparire una sorta di nostalgia antibipolare; dall’altra esiste oggi una centralità della questione democratica che coincide con la questione morale e la lotta alla corruzione che non consente nessuna tolleranza di pratiche e biografie politiche discutibili.

Paola Gaiotti de Biase