Voci indipendenti di liberi cittadini nella costruzione e nella vita del partito nuovo
venerdì 20 marzo 2009
ELEZIONI EUROPEE:
PER UN SALTO DI QUALITA'
Paola Gaiotti
a cura di RNxPD
(13:56)
C’è una responsabilità collettiva da esercitare, ognuno per il poco che può, e da subito, almeno a sinistra, e cioè far fare al dibattito elettorale già aperto sul voto europeo, un salto di qualità: prendere sul serio il voto europeo non è l’ultimo degli elementi per accreditare l’identità politica delle culture di centro di sinistra, di tutte le culture di centrosinistra, per contrastare sia il crescente degrado civile e progettuale del nostro paese, sia il senso d’impotenza di fronte alla crisi che caratterizza i grandi soggetti internazionali.
Basterebbe a dare il senso della nostra povertà progettuale il semplice elenco dei temi intorno a cui si è articolato finora lo scontro politico.
Ha tenuto banco per un po’ il tema della legge elettorale per le europee e non per garantire maggiore trasparenza e rappresentatività. Non è stato affrontato né il problema delle assurde dimensioni dei collegi, che insidia il corretto rapporto eletto elettore, né quello delle candidature finte e multiple di presidenti del consiglio e ministri in carica. Si è invece tentata, con un ottica tutta da oligarchia partitica, l’ abolizione delle preferenze ( per fortuna respinta da una reazione quasi unanime del paese e dell’opposizione) e convenuto sulla soglia di accesso, ora fissata al 4%. Il superamento della frammentazione politica è problema reale da favorire insieme attraverso regole e elaborazioni politiche strategiche; ma resta per certi versi improprio appunto per il Parlamento Europeo che non esprime a tuttora, una maggioranza di governo.
Nel PD la questione capitale affrontata è stata, e in qualche modo resta sia pure un po’ più marginalmente ancora, la questione della scelta del gruppo di appartenenza: una scelta che appare troppo giocata con lo sguardo rivolto all’indietro, alle pur nobili verità del passato, alla semantica politica ereditata da una lunga storia , che alle strategie per il futuro. Mi è capitato di scoprire sull’Unità che un Manifesto elettorale del PSE sarebbe stato sottoposto a un intenso dibattito internazionale, accogliendo modifiche e emendamenti di 30.000 elettori. Non ne abbiamo mai saputo nulla dalla stampa italiana, in Italia e nel Pd, dove la questione del rapporto con il PSE è delicatissima e calda. Sarebbe stato invece bene che il problema dell’adesione italiana fosse posto non in astratto ma sui termini programmatici concreti del Manifesto, e sottoposto anche al giudizio, vuoi degli elettori vuoi degli iscritti o almeno degli eletti negli organi costituenti. Questo è infatti un problema che non si scioglie semanticamente ( accettare o no di definirsi almeno provvisoriamente socialisti, e in vista di aggregazioni più ampie); si scioglie politicamente sulla necessità di una grande forza europea decisa a costruire l’Europa politica. La questione politica da porre è invece come riequilibrare le tendenze europeisticamente riduttive presenti nel gruppo socialista:; ed è semmai lì che il PD deve distinguersi anche nel suo messaggio popolare.
In questi giorni Franceschini ci mette giustamente in guardia contro i pericoli, democratici e costituzionali, di un ulteriore vittoria di Berlusconi. E’ una preoccupazione sacrosanta, tutt’altro che da sottovalutare: ma tiene le elezioni europee entro l’ottica chiusa e provinciale degli effetti interni. E se c’è un dato che esprime la cultura ormai consolidata del centrosinistra è l’indivisibilità della politica interna e di quella internazionale: è proprio questa indivisibilità che si esprime con la centralità della questione europea, chiave di volta di un internazionalismo di governo, che va oltre quello di lotta perchè assume la globalizzazione come grande sfida democratica. E’ sempre più vera l’antica distinzione spinelliana, anticipata a Ventotene, fra conservatori e progressisti, identificati fra chi difende antichi insostenibili, impotenti, equilibri nazionali e chi ha la forza e la lucidità di metterli in discussione.


Il dramma da rendere esplicito è che l’attualità mette in mano agli elettori problemi che sembrano andare molto oltre le loro possibilità di intervento: il blocco del processo europeo, da rimettere certamente in moto ma senza grandi illusioni immediate; il governo di una crisi mondiale, dai contorni ancora indefiniti e che vede comunque Usa e Cina protagoniste decisive dei suoi esiti; l’ assenza di una leadership europea nel doppio significato convergente di debolezza di ruolo dell’Europa e assenza di una classe dirigente politica davvero europea, mentre prevale quella che si misura tutta sulle difese di interessi nazionali assunti in una vecchia logica autosufficiente.
Ecco io credo che proprio questo dovrebbe essere il punto su cui spendersi.
Nella recente presentazione di una bella biografia su Altiero Spinelli ho sentito esprimere, da un altro grande europeista come Tommaso Padoa Schioppa, un concetto prezioso, tutto da condividere. Dopo aver sottolineato, appunto i limiti degli attuali gruppi dirigenti dei paesi d’Europa e la loro ristrettezza di vedute, e posto come questione chiave il problema di una dirigenza politica davvero europeista, Padoa Schioppa ha notato che questo non può maturare oggi entro la Commissione, non può maturare entro il Consiglio dei Ministri, può maturare solo nel Parlamento Europeo, entro le forze politiche del continente.
Ecco, hic Rhodus, hic salta. O noi sappiamo, per la parte che ci riguarda come italiani, e italiani del centro sinistra, mandare a rappresentarci figure forti, che sappiano, nel Parlamento, essere elementi aggregatori di una nuova leadership europea trasversale, capace di guardare in grande, che si presentino come tali all’elettorato, con una visibile e verificata vocazione a un salto di qualità europeo giocato in chiave sopranazionale, o il nostro parlare di Europa rischia di essere un chiacchericcio vano.
Tutti diciamo che la crisi può essere una opportunità. Questa opportunità può e deve essere giocata in una sede, come quella parlamentare europea, in cui il confronto fra tradizioni e stili politici, è in grado di produrre, attraverso la contaminazione del rapporto di lavoro reale quotidiano, le risposte giuste dell’Europa alla crisi, di costruire le condizioni di una sua capacità di decisione politica ancora troppo fragile.
Occorre battersi perché a questa logica, non alla vecchia pratica dei prepensionamenti e dei recuperi, delle lottizzazioni e delle oligarchie, sia ispirata la costruzione delle liste del PD. Il problema non è né un generico nuovismo né lo spazio ai giovani. Il problema è di competenze maturate e di biografie, di credibilità internazionale e di volontà d’impegno, di assunzione coraggiosa di criteri politici che siano coerenti col disegno che ci caratterizza, un assunzione che deve poter nascere insieme dall’opinione pubblica interna e vicina al partito e dalla sua dirigenza. Solo così potrà avere senso ed essere vincente la denuncia della finzione berlusconiana tutta giocata nella conferma di un consenso senza contenuti verificabili.

Paola Gaiotti