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giovedì 13 marzo 2008
Parliamo di laicità
a cura di Nando
(11:34)
Quello della laicità è un tema che spesso si evita, specie nei periodi pre-elettorali, per il timore di innescare polemiche all'interno prima de L'ULIVO e ora del PD. Credo invece che debba essere affrontato e costituire anche tema di campagna perché è certamente uno dei temi che ci differenzia sensibilmente dalle liste di destra e centriste. Infatti, anche moltissimi dei cattolici che militano nel PD si sono pubblicamente schierati contro le ingerenze della Chiesa in materie sulle quali solo il Parlamento è sovrano. La stragrande maggioranza dei cosiddetti atei devoti si trova da altre parti.
Vorrei portare l'argomento laicità alla vostra attenzione non con parole mie, ma riportando qui integralmente (non me ne vogliano l'autore e l'editore) un breve capitolo del libro CONTRO L'ETICA DELLA VERITÀ di Gustavo Zagrebelsky, in cui l'autore esamina il rapporto tra cattolici , Chiesa e democrazia. Ho già avuto occasione di citare questo libro che, assieme a Imparare democrazia, dello stesso autore, è una lettura che consiglio anche per prendere spunti e argomenti da usare con gli indecisi prima del voto (parliamo anche di politica e non solo di PIL e di tasse!).
Buona lettura!

Nando


Da CONTRO L'ETICA DELLA VERITÀ di Gustavo Zagrebelsky
10.
Cattolicesimo e democrazia

Cattolicesimo e democrazia sono compatibili?
Non è affatto una provocazione; è un problema reale. A questa «domanda insidiosa» è, per esempio, dedicato il primo, tormentatissimo capitolo di La democrazia dei Cristiani di Pietro Scoppola (1). La democrazia, dice, sfida la religione perché si fonda sulla libertà di coscienza e sul principio di maggioranza. La religione, a sua volta, sfida la democrazia perché si fonda sulla verità che non dipende né dalla coscienza né dalla volontà della maggioranza.
La Chiesa cattolica non ha mai aderito senza riserve alla democrazia né mai l'ha accettata come unico regime legittimo. Per molti secoli, si è limitata a richiedere al potere politico, quale che ne fosse la natura, il rispetto di quelli che riteneva essere i propri diritti. Poi si è aperta a qualche aspetto di giustizia sociale e, da ultimo, ha assunto, come criterio di legittimità dei regimi politici, il rispetto della dignità umana e dei relativi diritti (secondo una sua propria concezione, come vedremo non necessariamente condivisa da tutti). Solo col Concilio Vaticano II si è fatto un passo avanti, una scelta peraltro non incondizionata e irrevocabile ma solo «preferenziale» per la democrazia, il regime più conforme al diritto-dovere di partecipazione politica dei cittadini e dei cattolici in particolare. Ma resta una riserva, la riserva su cui il magistero cattolico ha organizzato qualcosa che sembra l'ultimo fronte di resistenza davanti a una minaccia mortale: il relativismo, una parola che ha assunto, nel linguaggio dei due ultimi Papi, il valore di un anatema. Sulle questioni che la Chiesa giudica unilateralmente e inappellabilmente legate al suo deposito di verità, la democrazia deve tacere o, se parla, deve acconsentire. Se pronuncia parole diverse, questo è relativismo, sinonimo di disprezzo per la morale, edonismo, egoismo, nichilismo. Con il che, essa si erge a maestra di tutta quanta la società, anche dei non credenti, e pretende di attribuire un plusvalore etico alle posizioni dei cattolici osservanti rispetto a tutte le altre. Chi non si riconosce nelle posizioni del magistero cattolico sembra quasi doversi discolpare per un difetto morale e in effetti molti laici, sorprendentemente, opportunisticamente e vilmente, non rifuggono dall'ammettere la loro mancanza.
Eppure, la democrazia – per tutto ciò che non riguarda i suoi fondamenti: tolleranza,uguaglianza, partecipazione politica ecc. - è necessariamente relativistica perché, come ricordato all'inizio, si basa sulla libertà di coscienza di tutti i cittadini, e nel riconoscimento della libertà di coscienza consiste il suo titolo maggiore di nobiltà. Relativismo, contrariamente a ciò che dice il magistero cattolico, che parla addirittura di «dittatura» o «dispotismo del relativismo», non significa affatto condanna delle convinzioni morali; non significa che una cosa vale l'altra e dunque nulla ha valore. Sul piano della vita individuale, significa che le convinzioni, i valori, le fedi sono, per l'appunto, relativi a chi li professa e che nessuno può a priori imporli agli altri; sul piano della vita collettiva, relativismo significa che queste «relatività» devono poter entrare nel libero dibattito per cercare condivise soluzioni normative ai problemi del vivere comune, senza veti pregiudiziali. La democrazia deve essere orgogliosa di questo suo carattere. Tutte le volte che supinamente se ne scusa, chiede venia e quasi se ne vergogna, ripudia se stessa.
La fede è compatibile con la democrazia a una condizione: che non sia etero-diretta da un potere dogmatico. La democrazia è il regime del confronto delle diverse posizioni, per la responsabile e ininterrotta ricerca delle soluzioni migliori ai problemi del vivere sociale. Ciò comporta che, ferme le convinzioni etiche fondamentali di credenti e non credenti (anche i non credenti possono avere le proprie certezze: sotto questo aspetto non ci sono differenze), per quanto riguarda la loro traduzione nella pratica politica, esse diventano opinioni. Non possono essere certezze dogmatiche. Che senso avrebbe il libero confronto democratico se una parte dicesse: fate quel che volete, io non sono disposta a stare ad ascoltarvi (ma voi dovete ascoltare me), perché io ho la verità in tasca, non ho bisogno di andar cercandola? Si comprende così l'enorme importanza per la democrazia che ha la proclamazione fatta dal Concilio Vaticano II circa l'autonomia dei cattolici nel campo politico-sociale e circa la legittimità della loro militanza in schieramenti partitici diversi. Per converso, si comprende la minaccia per la democrazia insita nella pretesa odierna del magistero di imporre comportamenti politici specifici che, vanificando di fatto le proclamazioni conciliari, pretendono dai cattolici supina obbedienza.
Uno degli argomenti più usati contro la democrazia, in quanto «relativistica», è che il prevalere della maggioranza potrebbe giungere a contraddire i presupposti della democrazia stessa, negando i diritti umani e instaurando «democraticamente» una qualche sorta di regime dispotico, come in effetti è accaduto nel secolo scorso. Ma non è affatto vero che le democrazie contemporanee non si preoccupino di questo rischio. Anzi, proprio su questo punto le democrazie liberali hanno imparato dagli errori e dalle sconfitte della storia (dico, tra parentesi, senza aver ottenuto un aiuto particolarmente rilevante dalla Chiesa cattolica) e hanno approntato il loro rimedio. In effetti, esse iscrivono solennemente in testi fondamentali, intoccabili dalle maggioranze, i principi dell’etica pubblica, sotto forma di diritti e doveri fondamentali. Conseguentemente, organizzano il potere pubblico in maniera tale da evitare le concentrazioni pericolose e istituiscono organi di garanzia, come le Corti costituzionali, cui attribuiscono la custodia di quel patrimonio di principi comuni. Le democrazie si affidano, in ultima e decisiva istanza, al dibattito pubblico e alla consapevolezza dei loro cittadini, difesi da diritti inviolabili. Non basta? Non è una garanzia sufficiente? La Chiesa sembra per l'appunto dire che non basta, che non è sufficiente. E per questo si propone come garanzia assoluta, una garanzia che, per essere tale, deve porsi al di fuori, al di sopra dei circuiti della democrazia. Ma questo non significa altro che il tentativo di sovrapporre una super-costituzione alla Costituzione democraticamente stabilita, una «costituzione della Costituzione» di cui la Chiesa - un bimillenario potere organizzato secondo principi ancor oggi essenzialmente autocratici - sarebbe dispensatrice. Si converrà che quello che agli occhi della Chiesa sembra l'offerta di una garanzia, per i non cattolici è una pretesa alquanto bizzarra e, comunque, radicalmente inaccettabile. A chi dice di volerci difendere dai rischi della democrazia, si converrà che, proprio in nome della democrazia, si dovrà opporre: chi ci garantirà dai pretesi garanti?
Si vuole con questo escludere i cattolici dal dibattito sui temi fondamentali del nostro vivere civile, come qualche volta lamenta un certo vittimismo cattolico? Per nulla. Si vuole invece che entrino nel dibattito deponendo ogni pretesa di infallibilità che viene dal loro agire come appendici di un potere gerarchico e dogmatico e, cosa assai rilevante, senza mettere impropriamente in campo la sua grande potenza organizzativa: una forza, oltretutto, sostenuta anche con denaro pubblico, non certo solo cattolico.
Difendiamo dunque il diritto di parola dei cattolici nelle questioni politiche e sociali, esattamente come difendiamo quello di tutti gli altri. Ma pretendiamo che nessuno si impalchi a maestro di Verità. Tutti possiamo avere la nostra verità e sceglierci i nostri maestri ma a nessuno è dato di imporre la propria verità come la Verità. Per questo, le posizioni della Chiesa e di chi della Chiesa approfitta per i fini suoi dovrebbero sempre stare sotto la clausola: «verità dal loro particolare punto di vista». Senza questa riserva, le loro posizioni contraddicono la democrazia, alimentano contrapposizioni che fomentano violenze, dividono il campo come tra due eserciti belligeranti e rendono il dialogo impossibile. E possibile che non si comprendano i pericoli? E possibile che proprio la Chiesa, quando alza il tono per impartire a tutti lezioni di Verità che pretendono di tradursi in leggi, non si avveda che così facendo, contro il suo intendimento, corre il rischio di mettersi fuori gioco e di condannarsi a un ghetto in cui la sua voce si farà forse sentire fortemente, ma sarà irrilevante in generale?
Dicendo Chiesa, tuttavia, si usa un termine che comprende molte cose. Sarebbe sorprendente che la Chiesa, tutta intera, senza differenze, stesse cedendo a queste tentazioni temporaliste. In effetti, coloro che hanno occasione di frequentare comunità di credenti e non la Chiesa curiale percepiscono spesso una sensibilità molto diversa, che permette il più facile e naturale degli incontri, sotto il segno della democrazia, di credenti e non credenti. Le posizioni potranno divergere, caso per caso, ma secondo criteri di differenziazione che non coincidono con le fedi religiose o non religiose di ciascuno.

(1) P. Scoppola, La democrazia dei cristiani. Il cattolicesimo politico nell’Italia unita, Laterza, Roma-Bari 2005

Questo capitolo del citato libro è tratto dall’articolo “La Chiesa cattolica è compatibile con la democrazia?” che G.Z. ha scritto su Micromega 2/2006.


Commenti:

Caro Nando, non immagini che piacere mi abbia fatto la tua citazione di Zagrebelsky, che
apprezzo moltissimo da tempo.
Aggiungo che una persona così limpida, con una mente così lucida e una cultura così vasta
meriterebbe un posto di diritto nella direzione del PD.

Piero Filotico



Commento/intervento di Nino Labate