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giovedì 29 maggio 2008
Corrente: una brutta parola?
a cura di Nando
(15:45)
È sorprendente l'attenzione con la quale i nostri politici (mi riferisco, in particolare, a quelli di casa nostra, il PD) evitano l'uso della parola corrente. Anzi, quando la usano è per negarne l'esistenza o l'intenzione di costituirne una. Quasi che fosse sinonimo di peste.
Indubbiamente ci troviamo di fronte al legittimo tentativo di esorcizzare le peggiori forme di degenerazione correntizia conosciute dai partiti italiani.
Però faccio osservare che abbiamo assistito anche a gravissime forme di degenerazione dei partiti. Non per questo pensiamo di eliminare i partiti, sia di nome che di fatto (anche se alcuni volentieri lo farebbero o tornerebbero al partito unico, con un unico proprietario). Diciamo, semmai, che i partiti vanno riformati. Che la politica va rifondata.
La creazione del PD si inserisce in questo tentativo di rinnovamento della politica italiana. Allora qualcuno mi deve spiegare come si possa sviluppare la dialettica interna al partito in assenza di correnti di pensiero (che inevitabilmente comportano anche figure di riferimento intellettuale, morale, politico, di opinione). La formula una testa un voto vale indubbiamente nei momenti decisionali (elezioni degli organi, votazioni all'interno degli organi), ma non ha alcun significato nello sviluppo delle linee politiche. Linee politiche che devono essere il risultato di un confronto democratico di idee. Confronto che non può avvenire facendo ogni volta il classico giro di tavolo tra tutti gli iscritti. Questo vale se il partito è formato da 10 persone. Già con 100, la cosa porrebbe qualche problema. Con un milioni di iscritti cosa si pensa di fare? Confrontare un milione di idee? Ogni volta? Su ogni tema? Forse qualcuno ha in mente la consultazione telematica? Rispondere a domande a risposta multipla (preconfezionata dalla Direzione o, meglio ancora, dal Segretario Unico)? E a questo punto, perché non ricorrere alla statistica e limitare la consultazione solo a un campione (preferibilmente scelto dal Capo)?
Le correnti di pensiero (e quindi, in definitiva, politiche) sono sempre esistite e sono sempre state fattori di dinamica delle società. Da quando poi esistono i partiti ci sono sempre state correnti trasversali (interpartitiche) e correnti intrapartitiche. Senza le quali sarebbe impensabile una dinamica democratica. Ci troveremmo di fronte a situazioni cristallizzate in cui prevarrebbero i pensieri unici, per finire poi nel Pensiero Unico.
Sono perfettamente consapevole che le correnti sono portatrici anche di due rischi (che, in particolare noi italiani, conosciamo benissimo):

  1. il già citato rischio della degenerazione correntizia (o delle tessere) finalizzata esclusivamente o prevalentemente a conquistare o mantenere posizioni di potere;
  2. il rischio della frammentazione dei partiti (la corrente messa in minoranza esce sbattendo la porta e fondando un nuovo partito - operazione che può tendere all'infinito).

Tutte le azioni umane comportano dei rischi, compreso il non agire. Allora che facciamo? Per paura dei rischi degenarativi rinunciamo a priori agli strumenti della democrazia? Dovremmo allora anche rinunciare a votare, per paura che qualcuno se ne vada?

Non mi sembra che sia questa la strada del rinnovamento.

Ferdinando Longoni

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COMMENTI

E' impensabile che una comunità umana sia vitale se procede senza il confronto di idee fra individuo e individuo: sarebbe un gregge.
Se la parola "correnti" ci infastidisce è perché ai più vecchi di noi ricorda l'ipocrita formalismo di una certa Democrazia Cristiana (non tutta). E in questi tempi, il giovane Partito Democratico, nato, diciamo, "a freddo" in una fusione di due fondamentali aree, quella comunista e socialdemocratca con quella cattolica, deve quanto mai elaborare nuovi criteri di giudizio politico e, di conseguenza, di azione politica.
E' forte in me il desiderio di conoscere, ad esempio, la posizione dell'amico Giovanni Bachelet sul recente intervento di papa Ratzinger sul governo italiano, che ahimé tiene dietro a quanto egli disse contro l'amministrazione di Veltroni sindaco. Quelle parole caddero come un macigno in un contesto di grande buone volontà, di spirito di conciliazione che Veltroni aveva messo in atto da tempo. Inoltre mi chiedo come fa il capo della Chiesa Cattolica a giudicare positiva la politica di un governo che, enfatizzando il diffuso disagio delle masse italiane impoverite e indirizzandole verso l'odio per i "diversi", ha legittimato le pesanti operazioni di sgombero dei Rom e rese possibili le scorrerie e gli scempi che vi hanno fatto seguito.
Dove sta l'universalismo della Chiasa Cattolica? La pietà per gli ultimi della terra è solo quella che vediamo nella pubblicità zuccherosa per l'otto per mille?
Cordiali saluti

Antonella Rossetti

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Commento di Giovanni Bachelet (clicca sul link)

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