Voci indipendenti di liberi cittadini nella costruzione e nella vita del partito nuovo
domenica 14 dicembre 2008
P come Primarie
(con sondaggio)
a cura di Nando
(15:31)
Ho sostenuto provocatoriamente nel mio intervento precedente (l'insostenibile leggerezza della politica) che dagli esempi della superficialità con la quale noi per primi (intendo noi della cosiddetta Società Civile), e non solo i politici di professione, trattiamo argomenti che meriterebbero maggiore riflessione si potrebbe ricavare un abbecedario. Non intendo, non ora almeno, impegnarmi in questa impresa. Mi limiterò a qualche lettera dell'alfabeto. Data l'attualità del tema comincio con la P. P come Primarie, appunto.

Ho l'impressione, e qualcuno mi corregga se sbaglio, che questa parola sia diventata per molti di noi un fetticcio da idolatrare senza riserve. O un condimento buono per qualsiasi pietanza.
Premetto che sono un fautore delle primarie. Sono anche un fautore del computer, ma non mi sogno di usarlo al posto della forchetta per mangiare. Le primarie sono uno strumento per raggiungere un determinato risultato, non un fine. E come tale dovrebbe quindi essere usato solo quando è utile, ossia quando tutte le condizioni sono favorevoli al suo impiego e ne giustificano e suggeriscono l'uso.

Tanto per cominciare chiariamo cosa si intende (o si dovrebbe intendere) per primarie, o elezioni primarie. Sono consultazioni, svolte con regole anche molto diverse, non solo da nazione a nazione, ma anche all'interno della stessa nazione (si pensi agli USA), per scegliere il o i candidati che un partito politico dovrà presentare a elezioni (politiche o amministrative che siano). Ogni altra consultazione, anche se chiamata impropriamente primaria, è un'altra cosa. E sarebbe bene chiamarla con il proprio nome, per non ingenerare confusione e per non inflazionare il termine, facendogli perdere il proprio reale significato.

La consultazione del 2005, in cui fu scelto Prodi come candidato de L'UNIONE, è un esempio di primaria.
La consultazione dell'ottobre 2007, indetta per eleggere l'assemblea costituente e il segretario nazionale del costituendo Partito Democratico, non è stata una primaria, anche se tale fu impropriamente chiamata. Fu una elezione. Punto e basta. Con la primaria, infatti, si scelgono candidati, non li si elegge. Nel caso specifico ci sarebbe da aprire una questione sulla legittimità e opportunità di eleggere una carica, non provvisoria, in assenza di uno statuto ancora da scrivere. Ma questa è tutt'altra storia e meriterebbe un capitolo a parte.

Vengo ora al punto che mi preme discutere. Ossia l'eventuale uso di primarie per scegliere candidati a cariche interne al partito.
Recentemente, in occasione della lunga e stucchevole vicenda della elezione delle cariche regionali del Lazio, provinciali e di Roma città del PD, il tema delle primarie si è riproposto, fino all'autoconvocazione (che vuol dire autoconvocazione? c'è sempre qualcuno che prende l'iniziativa e convoca gli altri) di 'quelli che vogliono le primarie a Roma'. Confesso di aver sottoscritto la richiesta di primarie, più per cercare di sbloccare la situazione che per convinzione.
Le mie perplessità sull'uso di primarie per la scelta di candidati interni nascono dalle seguenti considerazioni:
  1. se per primarie intendiamo realmente delle primarie per scegliere dei candidati che poi devono passare il vaglio di elezioni vere e proprie, allora non ci siamo perché complichiamo inutilmente un meccanismo che invece dovrebbe essere semplice e trasparente. Infatti, chi vota alle primarie e chi alle elezioni? Primarie aperte e poi elezioni chiuse? Entrambe aperte?
  2. se, invece, si intendono delle elezioni, allora chiamiamole elezioni e non primarie e chiariamo bene chi dovrebbe partecipare alle operazioni di voto: gli iscritti o anche i non iscritti?

Siamo giunti al punto chiave. Nel caso della scelta dei dirigenti del partito, per favore parliamo di elezioni e non di primarie. Perché con il termine primarie si vuole far passare, senza alcuna analisi critica, l'idea che a eleggere gli organi del partito siano anche gli esterni. E questo francamente mi sembra una colossale fesseria. Giudizio che voglio motivare:

  1. i dirigenti di un partito non sono assimilabili a cariche istituzionali, quindi di interesse collettivo, sono i membri di libere associazioni politiche di cittadini. Questa distinzione tra istituzioni e partiti, proprio mentre si critica l'occupazione delle istituzioni da parte dei partiti, deve essere chiaramente mantenuta.
    Le primarie (soprattutto quelle aperte) per le elezioni di cariche istituzionali si giustificano perché dovrebbero impedire ai partiti di presentare candidati graditi solo alle segreterie e che pongono l'elettorato tutto (anche i non iscritti ai partiti) di fronte a una non scelta di fatto.
  2. Nel caso della vita interna a un partito, trattandosi il partito di una libera associazione, è importante garantire la democrazia interna. Cominciando dalla scelta dei suoi quadri dirigenti. Che è un problema degli iscritti e non degli esterni. Se un cittadino vuole contare all'interno di un partito, partecipare, perché ne è simpatizzante, si iscriva. Chi glielo impedisce?
  3. Quali maggiori garanzie dovrebbe offire il voto di un esterno per una scelta democratica dei dirigenti? Chi controlla che gli esterni che si presentano al voto non siano pilotati?

Vorrei tornare su in punto che considero chiave. Non sono solo i meccanismi a garantire la democrazia. I meccanismi anche perfetti (o quasi, vedasi la nostra Costituzione) possano incepparsi. Dipende dalle idee e dagli uomini. Evitiamo di incartarci su questioni procedurali, illudendoci con queste di risolvere i problemi del Paese. Anzi, favorendo chi ha tutto l'interesse a distogliere l'attenzione dai problemi reali. La malafede si combatte con la forza delle idee. Discutiamone dal basso. Nei circoli. Mettiamo in moto un circuito virtuoso di idee diffuso tra gli iscritti. Cerchiamo di aumentarne il numero.

Approfitto per fare un piccolo sondaggio che vi sottopongo.

Ferdinando Longoni





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